Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

lunedì 21 maggio 2012

Manifesto dell' Ecosocialismo

di Michael Lowy e Joel Kovel
L’attuale sistema capitalistico non è in grado di regolare, né tanto meno superare, le crisi che ha scatenato. Non è in grado di risolvere la crisi ecologica, perché questo richiederebbe di porre dei limiti all’accumulazione, un’opzione inaccettabile per un sistema promosso a partire dalla massima “crescere o morire!” In termini ecologici è profondamente insostenibile e deve essere cambiato in modo sostanziale – o meglio ancora, rimpiazzato – se vogliamo che ci sia un futuro degno di essere vissuto.

Il secolo XXI è iniziato in toni catastrofici, con un livello senza precedenti di degrado ambientale e di “ordine” mondiale caotico, assediato dal terrore e dai focolai della guerra a bassa intensità (disintegrante) che si estendono come una cancrena lungo vaste aree del pianeta – Africa Centrale, Medio Oriente e nord-est dell’America Meridionale – e si riverberano in tutte le nazioni.
La crisi ecologica e la crisi sociale sono profondamente correlate e vanno viste come manifestazioni distinte delle stesse forze strutturali. In termini generali, la prima è il risultato della industrializzazione galoppante che supera la capacità della Terra di ammortizzare e contenere la destabilizzazione ecologica. La seconda deriva da quella forma di imperialismo, conosciuta come globalizzazione, con i suoi effetti disaggreganti sulle società. Inoltre, queste forze soggiacenti sono, nella loro essenza, aspetti differenti di uno stesso impulso che deve essere identificato come il fattore dinamico centrale che tende alla totalità, cioè all’espansione mondiale del sistema capitalistico.
Rifiutiamo tutti gli eufemismi o la riduzione propagandistica della brutalità di questo regime: tutto l’intento di colorare di verde i suoi costi ecologici, tutta la mistificazione dei costi umani nel nome della democrazia e dei diritti umani. Insistiamo, al contrario, sulla necessità di guardare al capitale dalla prospettiva di ciò che ha realmente provocato.
Per quel che concerne la natura e il suo equilibrio ecologico, questo regime, con il suo imperativo di costante espansione della redditività, espone gli ecosistemi ad agenti contaminanti e destabilizzanti; danneggia gli habitat che si sono evoluti nel corso di milioni di anni permettendo la nascita di organismi; consuma le risorse e riduce la vitalità sensuale della natura al freddo scambio che richiede l’accumulazione del capitale.
Dal punto di vista dell’umanità, con le sue richieste di autodeterminazione, di comunità e di un’esistenza piena di senso, il capitale riduce la maggior parte della popolazione mondiale ad un mero serbatoio di forza-lavoro, mentre scarta la popolazione restante come fastidio inutile. Ha invaso ed eroso l’integrità delle comunità attraverso la sua cultura di massa del consumismo e della spoliticizzazione. Ha esteso le disparità nella distribuzione della ricchezza e del potere fino a livelli senza precedenti nella storia dell’umanità. Ha lavorato in stretto contatto con una rete di stati servili e corrotti, le cui élites locali esercitano la repressione e ne liberano l’infamia. Inoltre ha messo in moto una rete di organizzazioni transnazionali sotto la supervisione generale delle potenze occidentali e della superpotenza degli Stati Uniti, per minare l’autorità della periferia e legarla all’indebitamento, mentre mantiene un enorme apparato militare per garantire l’accordo con il centro capitalista.
L’attuale sistema capitalistico non è in grado di regolare, né tanto meno superare, le crisi che ha scatenato. Non è in grado di risolvere la crisi ecologica, perché questo richiederebbe di porre dei limiti all’accumulazione, un’opzione inaccettabile per un sistema promosso a partire dalla massima “crescere o morire!” E non è in grado di risolvere la crisi generata dal terrore o da altre forme di ribellione violenta perché, per farlo, dovrebbe abbandonare la logica imperiale, cosa che imporrebbe limiti inaccettabili alla crescita e a tutto il modo di vivere sostenuto dall’esercizio del potere imperiale. La sua unica opzione è ricorrere alla forza bruta, incrementando così l’alienazione e piantando i semi del terrorismo…e dell’ulteriore contro-terrorismo, sviluppandosi fino ad una variante nuova e perversa di fascismo. Insomma, il sistema capitalistico mondiale si trova in una bancarotta storica. Si è trasformato in un impero incapace di adattarsi, il cui gigantismo finisce per lasciare allo scoperto la sua debolezza interna. In termini ecologici è profondamente insostenibile e deve essere cambiato in maniera sostanziale – meglio ancora, rimpiazzato - se vogliamo che ci sia un futuro degno di essere vissuto.
In questo modo, ci troviamo di nuovo davanti all’alternativa prospettata una volta da Rosa Luxemburg: socialismo o barbarie! In questa occasione, il volto della barbarie riflette il marchio del secolo che inizia e assume le sembianze della eco-catastrofe, del terrore e del contro-terrore e della sua degenerazione fascista.
Tuttavia, perché il socialismo, perché rivivere questa parola in apparenza destinata all’immondezzaio della storia, a causa dei fallimenti delle sue interpretazioni nel XX secolo? Solo per una ragione: per quanto sia colpita e lontana dalla realizzazione effettiva, la nozione di socialismo continua ad esprimere il superamento del capitale. Se il capitalismo deve essere superato, compito che in questo momento ritorna urgente per la sopravvivenza della civiltà stessa, il risultato sarà per forza di cose socialista, perché tale è la conclusione che indica l’avanzamento verso una società post-capitalistica. Se affermiamo che il capitale è radicalmente insostenibile e si frammenta nelle barbarie appena descritte, allora affermiamo anche che è necessario costruire un socialismo capace di superare le crisi che il capitale ha provocato nel tempo. E anche se i socialismi del passato non sono riusciti a farlo, se scegliamo di non sottometterci ad un destino barbaro, allora abbiamo l’obbligo di lottare per un altro socialismo che sia capace di vincere. Allo stesso modo in cui la barbarie è cambiata in modo da rispecchiare il secolo trascorso dal momento che Luxemburg ha espresso la sua speranzosa alternativa, il nome e la realtà del socialismo devono essere quelli che richiede il nostro tempo.
Per questi motivi chiamiamo ecosocialismo una nostra interpretazione del socialismo e abbiamo deciso di dedicarci alla sua realizzazione. Vediamo l’ecosocialismo non come la negazione, ma come la realizzazione dei socialismi del primo periodo del XX secolo, nel contesto della crisi ecologica. Come quei socialismi, il nuovo si costruisce a partire dalla percezione del capitale come lavoro oggettivato e si fonda sul libero sviluppo di tutti i lavoratori o, per dirlo in altre parole, sulla fine della separazione dei lavoratori dai mezzi di produzione. Comprendiamo che questo obiettivo non ha potuto essere realizzato dai socialismi del primo periodo per ragioni che, sebbene risultino troppo complesse per essere trattate qui, possono riassumersi nei diversi effetti del sottosviluppo in un contesto dominato dall’ostilità dei poteri capitalistici. Questa congiuntura ha avuto numerosi effetti negativi sui socialismi realmente esistenti, in particolar modo per quel che riguarda la negazione della democrazia interna mediante l’emulazione del produttivismo capitalista, e ha finito per condurre al collasso di queste società e alla rovina dei loro ambienti naturali.
L’ecosocialismo mantiene gli obiettivi di emancipazione del socialismo del primo periodo e rifiuta tanto gli scopi riformisti – attenuati – della socialdemocrazia quanto le strutture produttive delle varianti burocratiche del socialismo. Invece insiste nel ridefinire tanto il modo quanto l’obiettivo della produzione socialista in un ambito di riferimento ecologico. Lo fa in maniera specifica per quanto riguarda i limiti della crescita, essenziali per la sostenibilità della società, limiti che, tuttavia, non sono adottati nel senso di imporre scarsità, bassa qualità della vita e repressione. L’obiettivo, al contrario, consiste in una trasformazione delle necessità e in un cambiamento profondo verso la dimensione qualitativa, prendendo le distanze da quella quantitativa. Dal punto di vista della produzione delle merci, questo si traduce in una valorizzazione dei valori d’uso piuttosto che dei valori di scambio – un progetto di vasto significato, basato sull’attività economica immediata.
La generalizzazione della produzione ecologica sotto condizioni socialiste può fornire la base per superare la crisi attuale. Una società di lavoratori liberamente associati non si ferma alla sua democratizzazione. Al contrario, deve insistere sulla liberazione di tutti gli esseri umani come sostegno e come obiettivo. In questo modo supera l’impulso imperialista tanto nell’obiettivo quanto nel soggettivo. Nel raggiungere questa meta, lotta per superare ogni forma di dominazione incluse, in modo particolare, quelle basate sul genere e sulla razza. Supera le condizioni che danno origine alle distorsioni fondamentaliste e alle loro manifestazioni terroristiche.
Nessuno può leggere queste idee senza pensare, in primo luogo, a quanti problemi pratici e teorici possono sorgere da esse e, subito e in maniera scoraggiante, a quanto lontane esse siano rispetto all’assetto attuale del mondo sia per quel che riguarda le istituzioni sia per le forme in cui è presente nella coscienza. Il nostro progetto non consiste né nel delineare ogni passo di questo percorso né nel cedere davanti all’avversario a causa del carattere opprimente del potere che ostenta, ma piuttosto consiste nello sviluppare la logica di una trasformazione sufficiente e necessaria dell’ordine attuale e nell’iniziare a sviluppare le tappe intermedie in direzione di questo obiettivo. Facciamo questo con il proposito di pensare con maggior profondità a queste possibilità e, a tempo debito, cominciare il lavoro del progetto insieme a coloro che condividono queste stesse preoccupazioni.
da: Ambien-tico
http://www.una.ac.cr/ambi/Ambien-Tico/102/index.htm

Traduzione di Federica Napolitano

sabato 19 maggio 2012

Banco Mondiale: nel 2010 crescita record per Venezuela, ALBA, UNASUR, CELAC e BRICS; perdono potere Europa ed USA



di Attilio Folliero, Cecilia Laya e Tito Pulsinelli

Secondo gli ultimi dati pubblicati dal Banco Mondiale, gli otto paesi che conformano l’ALBA (1) sono quelli che maggiormente sono cresciuti fra il 2009 ed il 2010: il PIL dei paesi dell’ALBA è cresciuto del 33,43%, seguto dai 5 Paesi che conformano l’area geografica dell’Africa Meridionale (2), cresciuti del 28,81%, dai 12 paesi dell’UNASUR (3) al 27,07%, dai 33 paesi dell’America Latina che conformano la CELAC (4) al 25,41%, dai 5 paesi dell’ASEAN (5) al 24.39%, dai 5 del BRICS (6) al 22,37% e dai 6 paesi della OCS (7) in crescita del 19.36%.

I paesi del cosiddetto blocco occidentale, che ben rispondono alla definizione di Paesi Industrializzati Altamente Indebitati (PIAI), sono al di sotto della crescita media mondiale; infatti, mentre l’economia mondiale è cresciuta complessivamente dell’8,92%, l’Oceania (Australia e Nuova Zelanda) è cresciuta del 7,68%; i paesi del Nord America del 5,06%; i Paesi dell’OCSE (8) hanno fatto registrare una crescita del 4,74%; quelli del G7 (9) solamente del 3,76%; l’Europa nel suo complesso è cresciuta dell’1,42%. I 27 paesi che conformano l’Unione Europea (10) ed i 17 dell’Area Euro (11) sono in decrescita, rispettivamente dello 0,49% e del 2,14%.

I sedici paesi che conformano geograficamente l’Europa Meridionale e che ben può definirsi Europa Latina (12), hanno sperimentato una decrescita del 3,45% ed è l’area del mondo che ha perso maggior potere fra il 2009 ed il 2010.

Per quanto riguarda i singoli paesi, la Mongolia é in assoluto il paese con la più alta crescita: fra il 2009 ed il 2010 è aumentato del 35,27%; tra i paesi importanti, a più forte crescita troviamo l’Indonesia (31,00%), il Brasile (30,94%), l’India (25,40%), la Russia (21,10%), il Venezuela (20,15%), l’Argentina (20,04%), la Cina (18,74%). Dei sette Grandi, il Canada è l’unico ad avere sperimentato una forte crescita (17,90%); il Giappone è cresciuto dell’8,46%, il Regno Unito del 4,16% e gli USA del 3,83%; la Germania, che occupa il posto 150 nella lista dei paesi in base alla crescita, è in decrescita dello 0,55%, la Francia al posto 167 retrocede del 2,83% e l’Italia al posto 169 decresce del 2,83%.

In attesa che il Banco Mondiale pubblichi i dati del 2011, prevedibilmente nel prossimo mese di luglio, possiamo anticipare che i paesi dell’ALBA, trainati dalla crescita del Venezuela, continueranno ad essere protagonisti anche per l’anno 2011 e seguenti.

Da quando il Venezuela è governato dal presidente Hugo Chávez, secondo i dati del Banco Mondiale, lo sviluppo è stato enorme, trascinando nella crescita anche i paesi dell’ALBA.  Chávez arriva al governo nel 1999, peró nei primi 4 anni, oltre ad occuparsi delle grandi riforme istituzionali, deve fronteggiare un colpo di stato, nell’aprile del 2002 ed una serrata patronale di due mesi, dal dicembre 2002 al febbraio 2003, che letteralmente azzera la produzione petrolifera, principale attività economica del paese. Dal 2003, quando il PIL del Venezuela ascendeva a 83 miliardi di dollari USA, lo 0,22% del PIL mondiale, è passato ad oltre 391 miliardi nel 2010, con una incidenza dello 0,62% sul PIL mondiale; da quinta economia dell’America Latina (dietro a Messico, Brasile, Argentina e Colombia) e 44° economia del mondo, che era nel 2003, è passata ad essere la terza economía dell’America  Latina, dopo Brasile e Messico, superando Argentina e Colombia e 25° economia del mondo nel 2010.

Tra il 2003 ed il 2010 la crescita venezuelana è stata del 368,59%; solamente 4 paesi hanno avuto una crescita superiore: Azerbaijan (611,60%), Angola (508,59%), Kazakistan (383,43%) e Guinea Equatoriale (374,41%). Nello stesso periodo, il Brasile è cresciuto del 277,92%, la Cina del 261,17%, la Russia del 243,87%, l’India del 188,11%. I paesi del G7 hanno avuto crescite modeste: Canada 82,13%, Francia 42,84%, Italia 36,08%, Germania 35,35%, USA 31,54%, Giappone 29,08%, Regno Unito 21,58%.

Nello stesso periodo, fra il 2003 ed il 2010, per quanto riguarda i blocchi economici, quelli che sono cresciuti di più sono: OCS (259,43%), Unasur (246,72%), Brics (241,60%), Alba (233,23%) e Celac (159,63%); al polo opposto, i blocchi cresciuti di meno sono: Area Euro (42,45%), Unione Europea (42,24%), Paesi OCSE (41,31%) e G7 (33,69%).

In sostanza possiamo dire che il baricentro del mondo, si sta spostando sempre più verso America Latina ed Asia; in particolare i paesi del BRICS, dell’ALBA e dell’OCS avranno un ruolo sempre maggiore ed il BRICS è destinato a superare a breve il G7.

Confrontando l’evoluzione negli ultimi 20 anni,  tra aeree e blocchi geopolitici, risulta evidente che il polo incentrato sugli Stati Uniti e l’Europa (G7, Unione Europea e paesi dell’area Euro) – identificabili come PIAI o vassalli della NATO - sono in fase calante. In ascesa i blocchi dei paesi asiatici e dell’America Latina  (BRICS, OCS, UNASUR, ALBA e CELAC).

I paesi del G7, che nel  1993 producevano il 67,45% del PIL mondiale, nel 2010 producevano solo il 50,25% e sicuramente nel corso del 2011 sono scesi al di sotto del 50%; i paesi del BRICS invece, che nel 1992 rappresentavano il 6,72% del PIL mondiale sono triplicati, arrivando al 18,31% nel 2010; cosi pure i paesi della Cooperazione di Shangai (OCS) sono passati dal 3,67% al del 1993 al 12,02% nel 2010.

Vanno su quelli che hanno tralasciato o abbandonato l’ortodossia neoliberista e i diktat del FMI e delle elites finanziarie. Per il futuro a breve e medio termine, possiamo senz’altro dire che i paesi dell’America Latina e dell’Asia continueranno a crescere, mentre si accentuerá il declino progressivo dei PIAI, che fanno capo agli USA ed all’Europa occidentale.

Riguardo il Venezuela, tutto indica che non si fermerá la forte crescita, visto che la produzione di petrolio é programmata per elevarsi dai 2,99 milioni di barili al giorno del 2011, ad oltre 5,81 per il 2018 (13), grazie a circa 100 miliardi di dollari di investimenti, versati sia dal Venezuela che da compagnie petrolifere di numerosi paesi, tra le quali vi è la partecipazione dell’ENI, con oltre 7 miliardi; il settore delle costruzioni contribuirà enormeente alla crescita del paese, considerato che è prevista, per i prossimi 5 o 6 anni, la costruzione di circa 3 milioni di appartamenti, settore che ovviamente trascinerà nella crescita anche l’indotto (cemento, ferro, ceramica, infissi, …); inoltre, contribuirà alla crescita del paese, il potenziamento delle infrastrutture e delle comunicazioni, con la costruzione di migliaia di chilometri della rete ferroviaria, di decine di chilometri in nuove linee metropolitane nelle principali città, il terzo ponte sull’Orinoco (con una lunghezza totale superiore ad 11 chilometri ed equivalente a quasi tre volte il fantomatico e mai realizzato Ponte di Messina, in Italia) e numerose imprese stategiche, tra cui quella dedicata alla progettazione e realizazione di satelliti per telecomunicazioni. Non è affatto azzardato prevedere che il nostro amato Venezuela nel prossimo quinquenio entri a far parte del ristretto gruppo di paesi che hanno un PIL dell’ordine del migliaio di miliardi di dollari.

Il Venezuela, inoltre è destinato ad entrare presto nel gruppo dei paesi a reddito alto; secondo il Banco Mondiale, per l’anno 2010, si considerano a reddito alto i paesi che hanno un reddito procapite superiore a 12.276 dollari annui; per il 2010, il reddito procapite del Venezuela era di 11.590 dollari ed era inserito tra i paesi a reddito medio alto; grazie alla crescita in atto entrerà presto a far parte dei paesi a reddito alto e successivamente ad avvicinarsi sempre più al reddito di quelli che fino ad oggi possiamo considerare i paesi più ricchi del mondo, sempre che continui la attuale politica portata avanti dal governo di Hugo Chávez.

Ricerca a cura di: Attilio Folliero, Cecilia Laya e Tito Pulsinelli (14)
Caracas, 30/04/2012 – Aggiornamento 12/05/2012


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Notas
1)        Gli 8 paesi che formano l’Alleanza Bolivariana per i Popoli di Nostra America – Trattato sul Commercio dei Popoli (ALBA-TCP) sono: Antigua e Barbuda, Bolivia, Cuba, Dominica, Ecuador, Nicaragua, San Vicente y las Granadinas, Venezuela;
2)        I 5 paesi che formano geograficamente l’Africa meridionale son: Botswana, Lesotho, Namibia, Sudafrica e Swaziland;
3)        I 12 paesi che conformano la Unione di Stati Sudamericani (UNASUR) sono: Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Ecuador, Guyana, Paraguay, Perú, Surinam, Uruguay e Venezuela;
4)        I 33 paesi che fanno parte della Comunità di Stati Latinoamericani e Caraibici (CELAC) sono: Antigua e Barbuda, Argentina, Bahamas, Barbados, Belice, Bolivia, Brasil, Cile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Dominica, Ecuador, El Salvador, Granada, Guatemala, Guyana, Haití, Honduras, Giamaica, Messico, Nicaragua, Panama, Paraguay, Perú, Repubblica Dominicana, Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Surinam, Trinidad e Tobago, Uruguay e Venezuela;
5)        La Associazione di Stati del Sud-est Asiatico (ASEAN) è formata da 10 paesi (Brunei Darussalam, Cambogia, Indonesia, Laos, Malesia, Myanmar, Filippine, Singapore, Tailandia e Vietnam); in questa nostra ricerca prendiamo in considerazione solamente i 5 paesi più grandi per i quali esistono dati certi per il periodo analizzato: Indonesia, Malesia, Filippine, Tailandia e Vietnam;
6)        I 5 paesi del BRICS sono: Brasile, Russia, Cina, India e Sudafrica;
7)        I 6 paesi membri della “Organizzazione della Cooperazione di Shanghái” (OCS) sono: Cina, Russia, Kazakistan, Kirgikistan, Tagikistan e Uzbekistan; attualmente sono entrati come osservatori altri 4 paesi (India, Iran, Pakistan e Mongolia), che in futuro potrebbero entrare a pieno titolo nella OCS; inoltre, sono in corso trattative con altri due paesi (Bielorussia e Sri Lanka); infine, in Serbia ci sono partiti e movimenti che invece dell’ingresso nella Unione Europea stanno facendo pressione per avvicinarsi alla OCS, organizzazione che quindi in un futuro non tanto lontano potrebbe assumere un ruolo rilevante a livello mondiale;
8)        L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo económico (OCSE), conosciuta come “club dei paesi ricchi” fino al 2010 aveva 33 paesi membri: Canada, USA, Regno Unito, Danimarca, Islanda, Norvegia, Turchia, Spagna, Portogallo, Francia, Irlanda, Belgio, Germania, Grecia, Svezia, Svizzera, Austria, Paesi Bassi, Lussemburgo, Italia, Giappone, Finlandia, Australia, Nuova Zelanda, Messico, Repubblica Ceca, Ungheria Polonia, Corea del Sud, Slovacchia, Cile, Slovenia e Israele; alla fine del 2010 è entrata anche l’Estonia e pertanto i paesi membri attualmente sono 34;
9)        Il Gruppo dei sette o dei sette grandi (G7) è costituito da: USA, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Canada;
10)    I 27 paesi che attualmente formano l’Unione Europea sono: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Romania e Svezia;
11)    I 17 paesi dell’Unione Europea che hanno adottato l’Euro (Eurozona) sono: Germania, Austria, Belgio, Cipro, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi e Portogallo; ricordiamo che l’Euro è stato adottato anche da altri 6 paesi (Monaco, San Marino, Vaticano, Andorra, Montenegro e Kossovo) e dai territori britannici in Cipro (Akrotiri e Dhekelia) e per le sue emissioni filateliche anche dal Sovrano Militare Ordine di Malta, stato senza territorio riconosciuto dall’ONU;
12)    I 16 paesi che formano geograficamente l’Europa del Sud e che Félix Martin Rodríguez Melo ha giustamente denominado “Europa Latina”, sono: Albania, Andorra, Bosnia ed  Herzegovina, Croazia, Slovenia, Spagna, Gibilterra, Grecia, Italia, Kosovo, Macedonia, Malta, Montenegro, Portogallo San Marino e Serbia;
13)    Secondo l’annuale rendiconto del 2011 di PDVSA, Url www.pdvsa.com
14)    Attilio Folliero è un italiano residente in Venezuela, laureato in Scienze Politiche all’Università “La Sapienza” di Roma; attualmente professore contrattato della Facoltà di Scienze delle Comunicazioni (Escuela de Comunicación Social) dell’Università Centrale di Caracas (UCV); Cecilia Laya è una economista venezuelana, con cittadinanza italiana, laureata in Economia presso la UCV, attualmente funzionario della Università “Simon Bolivar” di Caracas (USB); Tito Pulsinelli è un sociologo italiano dell’Università di Trento, analista ed osservatore geopolítico; i tre furono tra i fondatori del sito web lapatriagrande.net e sono membri del FREVEMUN (Fronte dei venezuelani del mondo) e di COVENPRI (Associazione venezuelana di professionisti delle relazioni internazionali e difensori della solidarietà mondiale)

Da  http://www.albamediterranea.org/index.php?option=com_k2&view=item&id=341%3Abanco-mondiale-nel-2010-crescita-record-per-venezuela-alba-unasur-celac-e-brics-perdono-potere-europa-ed-usa-di-attilio-folliero-cecilia-laya-e-tito-pulsinelli&Itemid=16


Tempi di crisi – tempi di cura

Leonardo Boff
Filosofo/ teologo
Negli ultimi tempi, il tema “cura” ricorre sempre più spesso nella riflessione culturale. Inizialmente è stato veicolato dalla medicina e dalle scienze infermieristiche, dato che rappresenta l’etica naturale di queste attività. In seguito è stato assunto dall’educazione e dall’etica ed è diventato paradigma per filosofe e teologhe femministe specialmente nordamericane.
Vedono in questa un dato essenziale delle dimensioni dell’ “anima”, presente nell’uomo e nella donna. Ha prodotto e continua a produrre una serrata discussione, specialmente negli Stati Uniti, tra etica a base patriarcale centrata nel tema della giustizia e etica di base matriarcale basata sulla cura essenziale. Si è rinforzata in modo particolare nella discussione ecologica, sino a rappresentare un elemento centrale della Carta della Terra. Aver cura dell’ambiente, delle scarse risorse, della natura e della Terra sono diventati gli imperativi del nuovo discorso.

Infine, si è vista la cura come definizione essenziale dell’essere umano così come è affrontato da Martin Heidegger in Essere e Tempo, che accoglie una tradizione risalente ai greci, ai romani e ai primi pensatori cristiani come San Paolo e Sant’Agostino. D’altra parte si constata che la categoria “cura” viene guadagnando forza tutte le volte che emergono situazioni critiche. È questo che impedisce che le crisi si trasformino in tragedie fatali. La prima grande guerra (1914-1918), scatenata tra paesi cristiani, aveva distrutto il richiamo illusorio dell’era vittoriana e prodotto un profondo sconcerto metafisico. Fu quando Martin Heidegger (1889-1976) scrisse il suo geniale Essere e Tempo (1929), i cui paragrafi centrali (39-44) sono dedicati alla cura come ontologia dell’essere umano.
Durante la seconda Guerra Mondiale (1989-1945), spuntò la figura del pediatra e psicologo D.W. Winnicot (1896-1971), incaricato dal governo inglese di seguire bambini orfani o vittime degli orrori dei bombardamenti nazisti su Londra. Sviluppò tutta una riflessione e una pratica intorno ai concetti di aver cura (care), di preoccupazione per l’altro (concern) e di un insieme di sostegni a bambini o a persone vulnerabili (holding), applicabili pure ai processi di crescita e di educazione.
Nel 1972, il Club di Roma lanciò l’allarme ecologico sullo stato di salute cagionevole della Terra. E identificò la causa principale: il nostro tenore di sviluppo, consumista, predatorio, scialacquatore e totalmente senza attenzioni per le risorse scarse della natura e gli scarti che produce. Dopo vari incontri organizzati dall’Onu a partire dagli anni 70 del secolo passato, si è arrivati alla proposta di uno sviluppo sostenibile, come espressione della cura umana per l’ambiente, ma centrato specialmente sull’aspetto economico.
Il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (PNUMA) il fondo mondiale per la natura (WWF) e l’unione internazionale per la conservazione della natura (UICN) hanno elaborato nel 1991 una Strategia minuziosa per il futuro del pianeta sotto il segno di “curare il pianeta Terra” (Caring for the Earth). Lì si dice: la cura della Terra si applica tanto a livello internazionale come a livelli nazionali e individuali; nessuna nazione è autosufficiente; tutti hanno da guadagnare con la sostenibilità mondiale e tutti saranno minacciati se non riusciremo a raggiungerla.
Nel marzo del 2000, raccogliendo questa tradizione, termina a Parigi, dopo otto anni di lavoro e a livello mondiale, la redazione della Carta della Terra. La categoria “sostenibilità”, cura o modo sostenibile di vivere, costituiscono i due perni articolatori principali del nuovo discorso ecologico, etico e spirituale. Nel 2003 l’Unesco assunse ufficialmente la Carta della Terra e la presentò come un sostanziale strumento pedagogico per la costruzione del nostro futuro comune. Nel 2003 i ministri o segretari dell’ambiente dei paesi dell’America Latina e dei Caribe elaborano un notevole documento-manifesto per la vita, per una etica della sostenibilità dove la categoria “cura” è incorporata nell’idea di uno sviluppo che sia effettivamente sostenibile e radicalmente umano.
La cura viene richiesta praticamente per tutte le sfere dell’esistenza, dalle cure del corpo, dalla vita intellettuale e spirituale, dalla conduzione generale della vita fino al momento di attraversare una loro una via movimentata, come già osservava il poeta romano Orazio “la cura è quell’ombra che non ci abbandona perché siamo fatti a partire dalla cura”. Oggi data la crisi generalizzata sia sociale sia ambientale, la cura diventa imprescindibile per preservare l’integrità della Madre Terra e salvaguardare la continuità della nostra specie e della nostra civiltà.
Tradotto da Romano Baraglia

mercoledì 16 maggio 2012

Perché un ecosocialismo libertario


                                                      di Carlo Felici

Nella confusione e nella diaspora che tuttora affliggono il variegato mondo del socialismo italiano ritrovare alcuni punti fermi di indirizzo che possano essere utili a rilanciare una identità ed una prassi condivisa da tutti coloro che avversano il modello del pensiero unico e della globalizzazione del totaliarismo neoliberista, che si impone a suon di bombe e speculazioni finanziarie, è quanto mai utile e necessario.
Utile come strumento di consapevolezza, soprattutto per capire che le crisi finanziare globali rappresentano la frattura profonda di un artificio tutt'altro che inossidabile, che esse piovono inesorabili su interi stati e popoli, specialmente i più poveri ed emarginati, non come una pioggia acida senza rimedio, di fronte alla quale solo i privilegiati possono credere di aprire l'ombrello che li mette al riparo. Ma che esse sono un fenomeno tra i più terribili e rovinosi, messo in atto scientificamente da essere umani il cui unico fine è l'uso delle risorse umane e naturali per fini di profitto.
Necessario perché se un tempo il motto era «socialismo o barbarie», oggi, debitamente aggiornato, con le attuali sfide che mettono a serio rischio la sopravvivenza di intere specie viventi sul pianeta, dovute ad un modello di sviluppo che ignora l'equilibrio tra le relazioni umane e quello tra noi e la natura, esso diventa necessariamente «ecosocialismo o suicidio globale».
L'Ecosocialismo accoglie pienamente questa nuova sfida del terzo millennio ed offre una via d'uscita al modello neoliberista imperante con la sua proposta di democrazia partecipativa e in equilibrio con la natura. Non è un modello utopistico
Come scrive il teologo e filosofo Leonardo Boff, infatti, «Tra molti progetti esistenti in America Latina come l’economia solidale, l’agricoltura organica familiare, le sinergie alternative pulite, la Via Campesina, il Movimento Zapatista e altri, vogliamo metterne in evidenza due per il rilievo universale che rappresentano: il primo è il «Ben Vivere», il secondo la «Democrazia Comunitaria e della Terra», come espressione di un nuovo tipo di socialismo...La democrazia sarà dunque socio-terrena-planetaria, la democrazia della Terra. C’è gente che dice: tutto questo è utopia. E di fatto lo è, ma si tratta di una utopia necessaria. Quando avremo superato la crisi della Terra (se poi la supereremo), il cammino dell’umanità potrebbe essere questo: globalmente ci organizzeremo intorno al “Ben Vivere”, a una “Democrazia della Terra”, alla biocivilizzazione (Sachs). Già esistono segnali anticipatori di questo futuro.»
La prospettiva dell'Ecosocialismo del XXI secolo è configurata anche nel manifesto di  Michael Lowy e Joel Kovel, in cui viene rilevato, tra l'altro che «se affermiamo che il capitale è radicalmente insostenibile e si frammenta nelle barbarie appena descritte, allora affermiamo anche che è necessario costruire un socialismo capace di superare le crisi che il capitale ha provocato nel tempo. E anche se i socialismi del passato non sono riusciti a farlo, se scegliamo di non sottometterci ad un destino barbaro, allora abbiamo l’obbligo di lottare per un altro socialismo che sia capace di vincere. Allo stesso modo in cui la barbarie è cambiata in modo da rispecchiare il secolo trascorso dal momento che Luxemburg ha espresso la sua speranzosa alternativa, il nome e la realtà del socialismo devono essere quelli che richiede il nostro tempo.
Per questi motivi chiamiamo ecosocialismo una nostra interpretazione del socialismo e abbiamo deciso di dedicarci alla sua realizzazione. Vediamo l’ecosocialismo non come la negazione, ma come la realizzazione dei socialismi del primo periodo del XX secolo, nel contesto della crisi ecologica. Come quei socialismi, il nuovo si costruisce a partire dalla percezione del capitale come lavoro oggettivato e si fonda sul libero sviluppo di tutti i lavoratori o, per dirlo in altre parole, sulla fine della separazione dei lavoratori dai mezzi di produzione.»
Non possiamo più dunque considerare che possano esistere degli aggregati politici basati sulla separazione di concetti ormai talmente interdipendenti da non sussitere affatto nella loro  singola consistenza specifica, se ancora considerati separatamente tra loro come socialismo, democrazia ed ecologia.
Non hanno più senso conseguentemente partiti che siano «democratici», «socialisti» o «ecologisti», separatemente, e non ne hanno in particolare, ancor di più, se non sono capaci di interagire per creare insieme delle valide alternative politiche ai modelli imperanti.
Non parliamo poi del fatto che alcuni sopravvivono usando tali «attributi» solo come mascheramento di interessi localisti, clientelari e mirati solo al controllo del territorio per fini personalistici o di mantenimento del potere di casta.
L'affermazione di un sostanziale dominio di modelli plutocratici e monopolisti è dovuto proprio in gran parte a tale fattore: si usa il profitto e la speculazione finanziaria per sovvenzionare modelli di governo che non trovano davanti a loro stessi valide alternative.
E queste ultime non vengono messe in atto perché in quella che dovrebbe risultare una opposizione credibile e attivamente impegnata a creare alternative popolari, regna sovrano il diktat del «divide et impera», spesso suffragato da una sorta di «prostituzione» con cui i cosiddetti oppositori si lasciano comprare, pur di restare divisi, inefficaci e collaterali ad un intero sistema di sfruttamento e di smantellamento dei diritti essenziali dei cittadini, i quali, spesso, sono indotti a svolgere solo un ruolo di sudditi impotenti e, quando votano, attribuiscono, nella maggior parte dei casi, il loro consenso ad un leader o ad un «contenitore partitico vuoto», privo cioè di progettualità ed efficacia.
l'Ecosocialismo richiede dunque, a tal fine, una coscienza avanzata, una capacità di attenzione ai fenomeni in atto, con strumenti adeguati di controinformazione ed una forza di mobilitazione che non sia condizionata e veicolata dalle forze politiche, sindacali ed economiche dominanti, in particolare da quegli strumenti mediatici che sono al servizio del sistema imperante.
La cultura libertaria è stata lungamente attiva nella prima metà del secolo scorso, come ricorda bene Robin Hahnel: "All'inizio del XX secolo, il socialismo libertario era una forza potente tanto quanto la socialdemocrazia e il comunismo". L'Internazionale libertaria - fondata con il Congresso di Saint Imier qualche giorno dopo la rottura tra marxisti e libertari al Congresso dell'Internazionale Socialista dell'Aia nel 1872 - si batté con successo per più di cinquant'anni contro social-democratici e comunisti al fine di conquistare la fedeltà degli attivisti anticapitalisti, dei rivoluzionari, dei lavoratori e dei membri di sindacati e partiti politici. I socialisti libertari ebbero un ruolo cruciale nel corso della Rivoluzione messicana del 1911. Venti anni dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, i socialisti libertari erano ancora sufficientemente forti da ritrovarsi alla testa di quella che sarà la rivoluzione anticapitalistica di maggior successo che le economie industriali abbiano mai conosciuto, la Rivoluzione sociale che scosse la Spagna repubblicana nel 1936-1937."
Essa purtroppo è stata in seguito fortemente messa in crisi dall'avvento dei totalitarismi, prima politici e poi economici, che, dopo averne fatto il loro bersaglio privilegiato, si sono affermati e combattuti nelle loro convulsioni distruttive, durante la seconda metà del Novecento, sia con armi potentissime sia con politiche neocoloniali e regimi imperialistici di vasta portata e che ancora sono messi in atto mediante il modello totalitario della globalizzazione a fini di profitto.
Oggi, però, tale orientamento va molto al di là di queste radici, e, grazie al particolare valore che esso attribuisce alla libertà e alla consapevolezza umana, non intesa genericamente in senso collettivo, ma a partire da ciascuna libera coscienza individuale, si rivolge validamente a tutti coloro che vogliono efficacemente lottare contro tutti i condizionamenti di carattere culturale, materiale ed economico (povertà, indigenza, emarginazione) che ostacolano sia la giustizia sociale che la libertà di ciascuno.
Un grande autore libertario come Berneri asseriva che «la libertà umana è capacità di sorpassare ostacoli, interni od esterni, e di crearsi.» Non vi è dunque un assioma ideologico alla base di un impegno ecosocialista libertario, ma semplicemente la creatività di un percorso e la capacità di scoprire in esso un'etica di condivisione non soltanto del bisogno e  delle prospettive di sviluppo umano, ma anche di orizzonti e di rapporti con l'ambiente naturale, e con la biodiversità che, non l'uomo in se stesso, ma l'attuale modello di pseudo civiltà umana imperante minaccia con spietata volontà distruttiva.
Diceva un grande studioso libertario della terra come Jacques Élisée Reclus, già agli albori dello sviluppo industriale, che i fenomeni che osserviamo nella natura non vanno considerati isolatamente, ma nelle loro imprescindibili relazioni: «studiare a parte e in modo dettagliato l'azione particolare di questo o quell'elemento dell'ambiente: freddo o caldo, montagna o pianura, steppa o foresta, fiume o mare in una determinata tribù; ma è attraverso uno sforzo di pura astrazione che ci si ingegna a presentare questo particolare dell'ambiente come se esistesse in maniera distinta e che si cerca di isolarlo da tutti gli altri per studiarne l'influenza essenziale. Persino laddove quest'influenza si manifesta in modo assolutamente preponderante nei destini materiali e morali di una società umana, essa si frammischia ad una congerie di altri stimoli concomitanti o contrari nei loro effetti. L'ambiente è sempre infinitamente complesso e l'uomo è di conseguenza sollecitato da migliaia di forze diverse che si muovono in tutti i sensi, sommandosi le une alle altre, alcune direttamente, altre seguendo angoli più o meno obliqui, oppure contrastando reciprocamente la loro azione". L'uomo non è che una parte organica di un sistema complesso e variamente articolato da cui non può prescindere e in cui non può in alcun modo pretendere di imporsi.
Egli ci ricorda che stessa lotta tra le classi, che egli testimoniò partecipando alla Comune di Parigi, non è altro che «la ricerca dell'equilibrio».
Tale lotta oggi è globale per riequilibrare il mondo, e va dunque affrontata con strumenti culturali, economici e sociali globalmente avanzati.
Con questa consapevolezza ci rivolgiamo fiduciosi a tutti coloro che vorranno annaffiare questo grano di senape affinché diventi albero frondoso per restituire ossigeno alla terra, frutti e frescura all'umanità e rifugio sicuro per gli uccelli di un cielo più limpido e trasparente.