Leonardo
Boff
La specificità
“essere umano” è sorta in forma misteriosa e di difficile ricostruzione storica.
Ma ci sono indizi che 7 milioni di anni fa a partire da un antenato comune
sarebbe cominciata la separazione lenta e progressiva tra le scimmie superiori e
gli umani.
Etnobiologi e
archeologi ci indicano un fatto singolare. Quando i nostri antenati antropoidi
uscivano a raccogliere frutti, sementi, cacciagione e pesce non mangiavano
ognuno per conto suo. Prendevano gli alimenti e li portavano al gruppo. E così
praticavano la convivialità, il che vuol dire: dividevano gli alimenti tra di
loro e li mangiavano in modo comunitario. Questa convivialità ha permesso il
salto dall’animalità in direzione dell’umanità. Piccola differenza, totale
differenza.
Quello che ieri
ci ha resi umani continua ancora oggi a farci di ancora umani. E se non c’è,
diventiamo disumani, crudeli e senza pietà. Non è questa, purtroppo, la
situazione dell’umanità attuale?
Un elemento
produttore di umanità strettamente legato alla convivialità è la culinaria,
tecnica relativa alla preparazione degli alimenti. Bene ha scritto Claude
Lévy-Strauss, eminente antropologo che ha lavorato molti anni in Brasile: «Il
dominio della cucina costituisce una forma di attività umana veramente
universale. Come non esiste società senza linguaggio, così pure non c’è nessuna
società che non cucini qualcuno dei suoi alimenti».
500.000 anni or
sono l’essere umano ha imparato a fare il fuoco e a controllarlo. Con il fuoco
ha cominciato a cucinare gli alimenti. Il «fuoco culinario» è ciò che
differenzia l’essere umano dai mammiferi complessi. Il passo dal crudo al cotto
è considerato uno dei fattori di passaggio dallo stadio animale allo stadio di
essere umano civilizzato. Con il fuoco è nata la culinaria, propria di ciascun
popolo, di ciascuna cultura e di ciascuna regione.
Non si tratta
mai soltanto di cucinare gli alimenti ma di dar loro sapore. Le varie culinarie
creano abiti culturali, non raramente vincolati, da noi, a certe feste come il
Natale (tacchino), la Pasqua (uova di cioccolata), primo dell’anno (carne
suina), la festa di San João (granturco bollito) e altre.
Nutrirsi non è
mai un meccanismo biologico individuale. Mangiare in modo conviviale è
comunicare con gli altri che mangiano con noi. È comunicare con le energie
cosmiche che soggiacciono agli alimenti, specialmente la fertilità della terra,
il sole, le foreste, le acque e i venti.
In ragione di
questo carattere sacro del mangiare/consumare/comunicare tutta la convivialità è
in qualche modo sacramentale. Abbelliamo gli alimenti, perché non mangiamo
soltanto con la bocca ma anche con gli occhi. Il momento di mangiare è uno dei
più attesi del giorno e della notte. Esiste la coscienza istintive e riflessa
che è senza mangiare non c’è né vita, né sopravvivenza, né allegria di esistere
e di coesistere.
Per milioni di
anni di essere umani sono stati tributari della natura, prendevano da lei quello
di cui avevano bisogno per sopravvivere. L’appropriazione dei frutti della
natura si evolve e viene isolata la loro produzione mediante la creazione
dell’agricoltura che suppone la domesticazione e la coltivazione di sementi e
piante.
Dieci o dodici
mila anni or sono è avvenuta forse la maggiore rivoluzione della storia umana:
da nomadi, gli esseri umani diventarono sedentari. Fondarono le prime città
(12.000 a.C.), inventarono l’agricoltura (9000 a.C.) e cominciarono a
domesticare e allevare animali (8500 a.C.). S’innescò un processo di
civilizzazione estremamente complesso con successive rivoluzioni: industriale,
nucleare, cibernetica, nanotecnologica e dell’informazione fino ad arrivare a
noi.
Innanzitutto si
domesticarono cereali e vegetali selvatici, probabilmente a opera di donne più
osservatrici del ritmo della natura.
Tutto ha inizio
a quanto pare nel Medio Oriente tra il Tigri e l’Eufrate nella valle degli indù
dell’India. Lì vennero domesticati grano, avena, lenticchie e piselli. In
America Latina, granoturco, avocado, pomodoro, mandioca e fagioli. In oriente,
riso e risino, in Africa granturco e sorgo.
In seguito verso
il 8500 a.C., si domesticarono specie animali, a cominciare da capre, pecore,
poi il bue e il porco. Tra i gallinacei la gallina fu la prima e tutto il
processo agricolo è stato facilitato dall’invenzione della ruota, della zappa,
dall’aratro e da altri utensili di metallo verso il 4000 a.C.
Questi pochi
dati oggi sono presentati scientificamente da archeologi e etnobiologi che usano
le più moderne tecnologie: carbonio radioattivo, microscopio elettronico,
analisi chimica dei sedimenti, delle ceneri, del polline, degli ossi e carboni
di legna. I risultati permettono di ricostruire com’era l’ecologia locale come
si operava l’utilizzazione economica da parte delle popolazioni
umane.
Siccome si
seminava e si raccoglievano grano o riso, si potevano creare delle riserve,
organizzare l’alimentazione di gruppi, fare crescere la famiglia e la
popolazione. C’era da guadagnarsi la vita con il sudore della fronte. Fu fatto
con furore. Il progresso dell’agricoltura e dell’allevamento di animali fece
scomparire lentamente la decima parte di tutta la vegetazione selvatica e degli
animali. Non c’era ancora la preoccupazione per la gestione responsabile
dell’ambiente. E’ difficile anche solo immaginarlo, data la ricchezza delle
risorse naturali e la capacità di rigenerazione degli ecosistemi.
A ogni modo
neolitico mise in marcia un processo che giunge fino ai giorni nostri. La
sicurezza alimentare e il grande banchetto che la rivoluzione agricola avrebbe
potuto preparare per tutta l’umanità nel quale tutti sarebbero ugualmente
commensali, non ha potuto ancora essere e celebrato. Più di 1 miliardo di esseri
umani stanno ai piedi della mensa aspettando qualche briciola per potere calmare
la fame. Il vertice mondiale dell’alimentazione celebrato a Roma nel 1996 che si
propose di sradicare la fame entro il 2015, dice che “la sicurezza alimentare
esiste quando tutti gli esseri umani hanno, in qualsiasi momento, un accesso
fisico economico a una alimentazione sufficiente, sana e nutritiente,
permettendo loro di soddisfare le loro necessità energetiche e le loro
preferenze alimentari per poter condurre una vita sana e attiva”.
Questo proposito
è stato assunto dalle Mete del Millennio dell’ONU. Purtroppo la stessa FAO ha
comunicato nel 1998 e adesso l’ho fatto anche l’Onu, che questi obiettivi non
saranno raggiunti a meno che non sia superato il fossato troppo grande delle
diseguaglianze sociali.
Finché non
facciamo questo salto non completiamo ancora la nostra umanità. Questa è la
grande sfida del secolo 21º, quella di arrivare a essere perfettamente
umani.
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