Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

domenica 6 ottobre 2013

La porcilaia di casa nostra




La premessa necessaria a questo scritto è che lo scrivente ha sempre professato i valori dell'antifascismo, sia nel suo lavoro che nella vita civile, testimoniandoli concretamente, con la sua partecipazione a numerose manifestazioni ed incontri, e non solo a parole ma anche con i suoi scritti. Una vocazione che gli viene anche da una famiglia che non cedette mai alla sudditanza della “tessera del pane” e che fu impegnata pure nella Resistenza.
Perché questa premessa? Per svolgere una amarissima riflessione sul destino di una Repubblica che coloro che lottarono per conquistare la libertà ed uscire da una ventennale dittatura, avrebbero voluto sicuramente diversa e che, purtroppo, con il passare del tempo, rischia di rivelarsi persino peggiore del regime da cui essa si volle liberare, e di cui tuttora condanna l'apologia.
Questo avviene, in special modo, da quando le generazioni che lottarono per costruire ed assicurare all'Italia un futuro migliore, stanno a poco a poco, scomparendo, inghiottite dall'inevitabile gorgo del divenire storico.
In particolare, negli ultimi venti anni, abbiamo assistito ad una progressiva ed inarrestabile riduzione dei diritti del mondo del lavoro, fino al loro annientamento. Il penosissimo risultato odierno è una precarietà endemica, un livello di disoccupazione pauroso, la desertificazione del futuro delle nuove generazioni e una implacabile ingiustizia tra coloro che hanno e che si assicurano di avere sempre di più, e coloro che non hanno e sono condannati ad avere sempre meno.
Chi oggi dice che l'antifascismo è superato ha torto, diciamolo con chiarezza e senza esitazione, ma chi dice che il fascismo fu “il male assoluto” ha torto lo stesso, entrambe le categorie di persone appartengono infatti ad una specie di manicheismo storico ed ideologico che tuttora divide gli italiani, come una sorta di rottame non riciclabile di una guerra civile che è durata ben oltre il 25 aprile del 1945, e che è sorta molto prima del 25 luglio del 1943.
La guerra civile iniziò negli anni '20, quando gli agrari e gli industriali italiani, sentendosi minacciati dal progredire di una rivoluzione sindacale (ben diversa da quella bolscevica che alcuni allora reclamarono, facendo poi il gioco dei loro avversari) che mostrava di potere ottenere in maniera stabile e duratura conquiste salariali e diritti per i lavoratori, mai realizzati fino ad allora nel nostro paese, finanziarono le squadracce fasciste, ordinando loro di fare terra bruciata di tutte le organizzazioni dei lavoratori e di annientare anche fisicamente i loro capi.
Per questo, vennero utilizzati reduci e materiali di guerra opportunamente riciclati, con una strategia “mobile” da combattimento armato su vasta scala. Non è persino da escludersi che gli stessi squadristi che portarono a compimento le azioni più efferate facessero anche uso di sostanze stupefacenti come la cocaina.
Purtroppo vano fu il nobile ed eroico tentativo degli Arditi del Popolo di organizzare una forza combattente armata in grado di contrastare lo squadrismo, anche se importanti ed efficaci risultati furono ottenuti in alcune zone d'Italia per respingere gli squadristi armati che operavano con la complicità e l'indifferenza delle Forze dell'Ordine e dell'Esercito. Tra i vari esempi di eroica lotta popolare condotta dagli Arditi del Popolo, risalta quello di Parma la cui popolazione, guidata da Picelli, respinse in armi più di 10.000 squadristi comandati da uno dei più feroci Ras dell'Emilia: Italo Balbo.
E' ormai accertato storicamente che l'avvento in armi del fascismo non fu dovuto solo alla complicità dell'Esercito, della borghesia e soprattutto della Monarchia, ma, in particolare, anche alla impotenza ed indifferenza in quel periodo manifestata dalle forze di quella che allora era la sinistra italiana: i socialisti che firmarono un patto di pacificazione con Mussolini ed i comunisti che sconfessarono, con Bordiga, gli Arditi del Popolo e la loro lotta armata.
Il risultato è storia, una storia che però, tuttora, stenta ad inquadrare il Fascismo come fenomeno articolato e sostanzialmente indissolubile dalla figura di Benito Mussolini.
Il Fascismo non fu infatti un “unicum”, dato che, anche se schematicamente, si può dividere la sua storia, dal 1919 al 1945, in circa quattro periodi: Il sansepolcrismo rivoluzionario e socialmente avanzato, ma sostanzialmente strumentale e impotente, lo squadrismo, feroce e assassino, che lo stesso Mussolini a stento cercò di controllare ed irregimentare con la cosiddetta Milizia, ma che continuò sempre a sfuggirgli di mano ed arrivò persino a minacciare la sua vita, il regime fascista, che possiamo far coincidere con gli anni '30, in linea di massima, e l'epilogo repubblichino che fu una tragica farsa, sprofondata negli orrori della guerra civile. Tralasciamo gli esiti del neofascismo a cui poi accenneremo per considerare ciò che ora più ci interessa.
Il Fascismo fu concretamente espressione di un'Italia sovrana e libera nel contesto dei rapporti internazionali, come mai lo era stata e come mai riuscirà ad essere in futuro, tranne qualche sprazzo di dignità e di autonomia?
Possiamo dire che nel decennio che coincide grosso modo con gli anni '30 sì, l'Italia che Mussolini definiva “proletaria e fascista” in quegli anni, effettivamente, incuteva rispetto nel mondo, ma ovviamente con un prezzo salatissimo: la persecuzione degli oppositori, una politica imperialista da operetta e provvedimenti che sostanzialmente lasciavano inalterato un tessuto sociale ingessato in una società arcaica ed agricola incapace di un autentico sviluppo industriale che lo stesso Duce, con mentalità ottocentesca, non seppe né cogliere né sviluppare sapendo attrarre preziosi investimenti.
Ciò nonostante, lo sforzo di modernizzare lo Stato, pur facendo coincidere esso stesso con il Fascimo, ci fu, almeno rispetto al passato, e persino rispetto ad altre nazioni in cui la crisi del '29 ebbe conseguenze assai più rovinose. Questa la ragione di una popolarità di un regime fieramente avversato allora solo in gran parte dai fautori del Socialismo Liberale di Giustizia e Libertà, dai repubblicani, dai sinceri democratici, dai socialisti, ma, almeno prima della guerra, non del tutto dai comunisti che negli anni '30 si appellavano ai “fratelli in camicia nera” e che nell'immediato dopoguerra tanti fascisti accolsero nei loro ranghi.
Sarebbe lungo ora soffermarsi sugli errori e sulla vanagloria di un regime che, alla fine, arrivò addirittura a chiedere agli italiani ciò che a loro era più sacro: la fede nuziale, come segno del definitivo annullamento dell'individualità e della famiglia nella idea totalitaria di uno stato in tutto e per tutto padrone, fedi nuziali destinate poi a riempire le grosse damigiane dei gerarchi in fuga e finite nel cosiddetto “oro di Dongo”, poi misteriosamente destinato a rimpinguare le casse del PCI, così come sarebbe altrettanto lungo soffermarsi sulle opere che il Fascismo mise in atto, in tutta autonomia ed autorevolezza, per incrementare il consenso e creare un assetto più socialmente avanzato rispetto al passato. Opere che, in gran parte, gli sopravvissero, e di cui anche la neonata democrazia non volle fare a meno. Opere che, almeno nel numero, la stessa democrazia non riuscì a sopravanzare.
Questa non vuole essere infatti, una analisi retrospettiva o comparativa di un regime, per la quale è necessario procedere con molta attenzione e perizia storiografica.
Questa, piuttosto, è l'amara rappresentazione di una Italia che ha appeso a testa in giù il Fascismo, ma si ritrova, settanta anni dopo, a sua volta, con i piedi per aria sul piano sociale, economico, politico e militare.
Gli stessi neofascisti sono stati validamente utilizzati per portare a compimento la distruzione e l'annientamento della Patria, e nonostante essi si fregiassero di esserne gli ultimi difensori. Farneticando con Evola di tanto assurde quanto anacronistiche gerarchie umane e sociali, rimpiangendo permanentemente un tempo in cui, con la Repubblica Sociale, Mussolini cercò di riesumare i miti rivoluzionari mai messi in atto da un regime sempre sceso a patti con i poteri forti, con il Vaticano e con la Monarchia, e tutto ciò mentre si taceva, obbediva e combatteva agli ordini dell'invasore tedesco, i neofascisti nel dopoguerra hanno validamente contribuito, in nome dell'anticomunismo, ad incentivare la servitù contro lo stesso nemico che li assoldò, assieme alla mafia, per consolidare e incrementare il suo potere anche a suon di stragi e di omicidi eccellenti.
Mussolini, che lo stesso Montanelli definì “uno che socialista non aveva mai smesso di essere”, prima di morire, affidò i suoi a Nenni, suo compagno della prima ora e poi suo irriducibile nemico, ma i suoi, come avevano già fatto numerose volte, preferirono tradirlo anche in questa occasione, o scegliendo i comunisti, oppure arruolandosi come mercenari per i servizi segreti americani.
E questo mentre i democristiani fecero di tale perdurante servitù una sorta di perizia da satrapi e i comunisti si adattavano ad esercitare un potere consociativo, senza mai reclamare o una rivoluzione oppure quella automutazione che avrebbe consentito non solo a loro ma a tutta l'Italia una concreta alternativa e autonomia.
In questo perdurante sfacelo, brillò la stella solitaria di Bettino Craxi, che, come una cometa, passò sopra una Italia perennemente “serva e di dolore ostello”, illuminandola per un breve sussulto di dignità di cui resta fulgido esempio il caso di Sigonella e i finanziamenti ai gruppi rivoluzionari dell'Est e dell'Ovest in lotta contro un impero bipolare che si era spartito il mondo, facendo solo finta di combattersi durante la guerra fredda.
La caduta di Craxi e la cosiddetta “seconda repubblica” coincidono con un ventennio di progressivo impoverimento, di perdurante corruttela, di marginalizzazione dei giovani e degli anziani , di incremento dell'occupazione militare, di regresso vertiginoso dei diritti dei lavoratori e del potere d'acquisto degli stipendi, e di sviluppo esponenziale di mafie di vario genere, sempre più intrecciate con il tessuto economico e sociale, del lavoro nero, della schiavitù salariale e del degrado morale e civile di un intero popolo, coinciso con il berlusconismo, e con la mutazione della cosiddetta sinistra postcomunista in apparato di fiducia degli assetti militari e neoliberisti imperanti in Europa e nel mondo.
Siamo dunque arrivati al punto di non avere alternative, o meglio di avere trovato, come unica alternativa, un movimento politico velleitario, privo di sostanziali programmi di sviluppo economico e sociale, benedetto non a caso dagli ambasciatori della superpotenza che occupa il nostro paese, il cui unico scopo è l'incremento del consenso basato sulla protesta autoreferenziale, anche per prevenire che altre forme più incisive ed organizzate di ribellione possano inevitabilmente sorgere. Se ci sono nei vari territori, saranno magari , come sempre avviene da decenni, opportunamente infiltrate, per dividere i "ribelli buoni" da quelli "cattivi" e continuare a regnare su tutti
Tutto questo accade, non a caso, mentre si porta avanti un'opera “scientifica” di damnatio memoriae verso l'unica forza politica che è riuscita a rendere, pur nelle sue degenerazioni, nel corso della sua storia, l'Italia autonoma e degna di potersi mostrare in piedi da sola: il Socialismo.
Mussolini, negli anni in cui fu al potere, fu fautore di un “socialismo di regime”, tentò, rinnegando le sue origini autenticamente rivoluzionarie, persino di portare dalla sua parte alcuni “socialisti di destra” come scrive Carlo Silvestri, prima che la convergenza dei poteri forti e dello squadrismo gettasse sulla sua strada il cadavere eccellente di Matteotti. E da allora, giustamente, non poté che trovare tra i socialisti i suoi più fieri avversari. Molti dei quali però “salvò” con il contributo della “volante rossa” durante la guerra civile e mentre la Resistenza era in pieno svolgimento.
Le truppe di occupazione di entrambi i fronti che entrarono in Italia grazie alla mafia, al tradimento del re e alla feroce repressione nazista, fecero a gara per mettere gli italiani gli uni contro gli altri, preparando così per l'Italia un futuro di perdurante servitù, che si è realizzato dopo la vittoria alleata e che sarebbe stato messo in atto in maniera anche più terrificante se avessero vinto i nazisti.
I patrioti che combatterono allora per liberare l'Italia però si chiamavano tali proprio perché credevano in una Patria nuova, che coincise con una Costituzione la quale, per prima, riuscì a porre fine alle terribili conseguenze di una guerra civile durata ben oltre il 25 Aprile, con episodi di crudeltà inaudita perpetrati da ambo le parti.
Quella stessa Costituzione è riuscita a garantirci, pur nelle condizioni di una sudditanza mai messa concretamente in discussione e intervallata da bombe, terrorismo, crimini di mafia, e crimini politici (a volte coincidenti), lunghi decenni di una storia fatta di libertà, di benessere e di incremento dei diritti civili. Tutto questo fino al 1991, fino a quando si decise, come in una nuova Yalta, sul panfilo Britannia, di relegare l'Italia ad un ruolo di ulteriore e più forte sudditanza, di maggiore povertà, di precariato endemico e di progressiva esposizione ad una immigrazione di massa che, prima o poi, le avrebbe cambiato definitivamente i connotati culturali, religiosi e politici, con la complicità dei media e della TV, in primo luogo. Tutto ciò, creando appositamente un duopolio mediatico inflessibile che ha incrementato quella mutazione antropologica già in atto dalla metà degli anni settanta, e già denunciata, a suo tempo, da Pasolini.
In ben 20 anni, l'Italia ha svolto il suo ruolo di serva dell'imperialismo con precisione impeccabile, partecipando alle guerre, aumentando vertiginosamente le spese militari e accogliendo nel suo territorio il triplo delle truppe americane presenti prima del 1991.
Nei nuovi equilibri geostrategici protesi a difendere non il muro condominiale tra Est e Ovest, ma quello strutturale e portante tra Nord e Sud, l'Italia è ormai una porterei nel Mediterraneo sempre più staccata di fatto dall'Europa e sempre più protesa a intervenire e monitorare ogni eventuale zona di crisi, per un rapido intervento militare.
Destabilizzare l'Italia con una immigrazione di massa, incrementare in essa mafie e corruzione, rendere i suoi governi sempre più fragili e servili, immiserire il suo sistema culturale e formativo, evidentemente, serve per controllarla e dominarla meglio. Così come serve molto farla restare in un permanente clima di perdurante “guerra civile” tra fasci e komu, anche se in realtà il fascismo e il comunismo, come forze politiche organizzate, non esistono più da ormai molto tempo in questo paese.
L'ultima spallata non può che essere quella di cambiare la Costituzione, sia per riattizzare eventualmente odi solo sopiti, sia per impedire che vi sia un argine ulteriore alla invasione barbarica oggi in atto. Con un popolo sempre più disarmato, dato che le Forze dell'Ordine sono a ranghi ridotti e anche le agenzie di vigilantes chiudono per la crisi e, persino, data l'abolizione della leva militare, incapace di usare le armi. Un perfetto popolo di servi, pronti come i maiali, per essere ingrassati o mandati al macello, a seconda delle necessità. Maiali che ormai si azzannano tra loro anche in famiglia, dove gli omicidi crescono e le violenze contro le donne dilagano, e che grugniscono di rabbia solo per difendere il loro territorio regionale o il loro spazio individuale, o di piacere solo negli stadi e nei postriboli in Italia oppure, consumatori tra i più incalliti, all'estero. Un maiale all'ennesima potenza che si incarna, nella sua mutazione più ingombrante e lercia, nel pappone di Stato con pensione d'oro inossidabile
La porcilaia “Italia” non ha mai raggiunto in tutta la sua storia, un livello così infimo di abiezione, e crede di scamparla addossando tutte le sue colpe a Berlusconi, ritenuto il simbolo più eclatante di tale lordume. Ma dimenticando che egli non ha fatto altro che interpretare il ruolo che in questo paese è diventato più popolare negli ultimi venti anni: quello che gli antichi romani chiamavano lo “scurra” l'attore triviale, da cui la parola scurrile. Allora applaudito, oggi votato e incensato abbondantemente anche da chi nel nostro perdurante osanna, seguito furbescamente dal crucifige, gli ha voltato di recente le spalle.
In questo lordume servile che pare non abbia mai fine, dunque, anche la storia del Fascismo e dell'Antifascismo, così come, più in piccolo, quella di Craxi perennemente condannato per mali che furono di una intera Repubblica e che oggi sono elevati all'ennesima potenza, brilla su di noi come le stelle kantiane, purtroppo senza che una autentica morale ci possa interiormente riscaldare o consolare.
Dovremmo dunque piantarla, oggi, di continuare a dividerci, in modo manicheo e strumentale, tra fascisti ed antifascisti, sapendo comunque riconoscere e contestualizzare il significato di questi due riferimenti storici. Dovremmo piantarla finalmente di considerare il “socialismo” come qualcosa dei secoli passati e nemmeno da poter pronunciare, ma piuttosto dovremmo ergerlo a simbolo del nostro riscatto e di una continuità storica, di anelito ad una Patria libera ed indipendente che, dai tempi di Pisacane e Garibaldi, non è mai venuto meno.
Il solo in grado di accompagnare, con il suo immancabile Sol dell'Avvenire, un futuro degno per noi di essere vissuto, l'unico in grado di restituirci, da quelle sembianze porcine a cui la Circe della ammaliante teologia del mercato ci ha condannato, quelle finalmente umane di popolo vero, magari non di santi, non di poeti e nemmeno di eroi, ma forse di navigatori sì, e non solo virtuali, che finalmente tornano a casa loro.

C.F.

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