di Carlo Felici
Gli anni in cui visse e fu Presidente John F. Kennedy furono un periodo di straordinaria euforia, mista alla
speranza, alla paura e alla consapevolezza che il mondo, da allora,
non sarebbe stato più lo stesso. Può capirlo solo chi visse allora,
anche colui che, come me, in quel periodo era tanto piccolo da non
essere ancora arrivato alla consapevolezza, limitandosi alla gioia,
alla speranza e al timore. Tanto che Kennedy, in quella mente
infantile era come una sorta di “nume tutelare”, da pregare la
sera assieme alla Madonnina...”Madonnina fammi buono, grande e
bravo, Presidente Kennedy, mantieni la pace nel mondo”...come una
sorta di mantra, che si fece più intenso durante i giorni della
crisi dei missili a Cuba. Molti allora avevano anche la foto di
Kennedy in casa o nel negozio, io me ne ricordo varie, nelle vie
centrali di Roma e mi ricordo anche le riviste con il suo ritratto in
copertina..
Ma Kennedy, con il
crescere della consapevolezza che si fece prima adolescente e poi
adulta, non si rivelò certo un “santo”, anzi, ad essa, si rivelò
presto come un uomo con molte debolezze, un presidente che commise
vari errori e un politico che non sempre seppe fare la scelta giusta,
ciò nonostante la sua morte improvvisa e tragica lo ha
cristallizzato ed eternizzato come il simbolo allo stesso tempo di
una grande speranza, di una grande illusione e anche di una
sconfinata delusione.
La speranza era quella che si aprisse davvero nel mondo una nuova era di pace, progresso e prosperità, coincidente con quella che lo stesso Kennedy definì “la nuova frontiera”, la grande illusione fu che ci fosse un larghissimo consenso ed una grande opportunità di mezzi per realizzarla (anche se Kennedy sostenne proprio prima di morire che sarebbero stati necessari molti anni di duro lavoro) e la sconfinata delusione si materializzò con l'immagine di un sottopassaggio nero in cui si infilava la limousine presidenziale con a bordo il cadavere di Kennedy quasi decapitato. Era quello il nero di un futuro destinato ad oscurare per sempre una radiosa giornata autunnale, quasi un'improvvisa notte calata sul sole dell'avvenire.
Erano molto diversi quegli
anni, non solo per il mondo, ma soprattutto per gli USA, rispetto ad
oggi: quella di allora era un'America più razzista e sessista ma
dove le disuguaglianze economiche e sociali erano molto meno
rilevanti di oggi, con 140 milioni di abitanti in meno di ora, che
sono per il 30% in più di origine afroamericana o ispanica, allora
ci voleva un anno di lavoro per comprarsi una casa, mentre oggi ce ne
vogliono sei, sempre se il lavoro resta continuativo e se la banca
non se la riprende prima per crediti insoluti. Gli anni di allora
erano, infatti, anche anni di piena occupazione in cui un laureato
aveva un lavoro garantito e un comune lavoratore poteva aspettare al
massimo quattro settimane per trovarsi un lavoro.
Ma erano anche gli anni
del precario equilibrio atomico, in cui ognuno di noi, e persino i
bimbi, si sentiva seduto su almeno una tonnellata di esplosivo pronto
a saltare in aria, anni in cui gli esperimenti atomici nell'atmosfera
non si saprà mai quante radiazioni abbiano messo in circolazione ben
prima di Chernobil.
Il radioso sorriso del
Presidente più amato nel mondo (soprattutto dalle donne) però
celava, quasi come una maschera tragica, non poche ombre oscure,
destinate a materializzarsi appena si spense.
Non fece in tempo ad
insediarsi che ci fu lo sbarco nella baia dei Porci, di fatto
organizzato e messo in atto dalla CIA, secondo una indicazione del
presidente che lo aveva preceduto, ma che lui formalmente non
autorizzò mai, anche se ne assunse la responsabilità pubblicamente.
E questo spiega sia il fatto che non concesse la copertura aerea, sia
l'immediato licenziamento successivo dei vertici della CIA. La
“primera derrota de l'imperialismo” costò agli USA più di 100
morti e altre centinaia di prigionieri che in seguito vennero
scambiati con beni materiali dal governo cubano,
Con lui iniziò l'impegno
militare americano in Vietnam, e durante il suo mandato, il muro di
Berlino venne costruito senza quasi che Kennedy facesse in tempo ad
accorgersene.
Quella che allora veniva
considerata la donna più affascinante del mondo e che era stata la
sua affezionatissima amante morì in circostanze assai inquietanti e
misteriose, tanto che ancora oggi si dubita che si fosse suicidata.
Ma lo smacco più grosso
lo subì con la crisi dei missili a Cuba, dovuta in gran parte alla
sua poca lungimiranza. Che Guevara in persona, che allora era il
ministro più in vista a Cuba e sebbene prendesse un semplice
stipendio da Comandante, e si dedicasse al lavoro volontario e
manuale tutte le settimane, incontrò un emissario di Kennedy,
proponendo, tra il 1961 e il 1962 al presidente americano un accordo:
Cuba avrebbe allentato i rapporti con l'URSS, avrebbe accettato di compensare alcune aziende americane che erano state espropriate nell'isola e soprattutto avrebbe rinunciato ad esportare i
progetti rivoluzionari nel resto del Sudamerica, in cambio soltanto
dell'impegno solenne degli USA a non sovvenzionare né a mettere in
atto progetti controrivoluzionari o sbarchi nell'isola, insomma solo
per essere lasciati in pace definitivamente.
Kenndy, a cui in quella
occasione venne offerta anche una discreta quantità di sigari
cubani, che egli continuava a fumare in barba ad ogni regola di
embargo, però non si fidò, al punto che anche il suo primo sigaro
lo fece fumare ad un suo collaboratore, e interpretò quella proposta
come un atto di debolezza, agendo, di conseguenza, in maniera
diametralmente opposta alla proposta ricevuta: incrementò l'impegno
per destabilizzare la rivoluzione cubana, fu così che più di 5.000 azioni di sabotaggio e di terrorismo furono commesse contro Cuba con moltissime vittime, in meno di 10 mesi, come parte integrante dell'Operazione Mangusta, pianificando anche attentati contro Fidel Castro e altri dirigenti della Rivoluzione Cubana. Ciò provocò inevitabilmente non solo un veloce riavvicinamento tra Cuba e l'URSS, ma anche la
successiva ed immediata istallazione dei missili nucleari nell'isola,
con tutto quel che ne seguì e che è noto. Kennedy la presentò come
una vittoria, ma di fatto gli USA, negli equilibri geostrategici di
allora, ebbero un secco arretramento, ritirando varie delle loro
postazioni missilistiche in Europa, ed impegnandosi a non invadere
più Cuba nei decenni successivi.
Per questo, quando Kennedy
arrivò a Dallas erano appesi sui muri della città manifesti recanti
la sua foto di fronte e di profilo con scritto “Wanted for treason”
(ricercato per tradimento). E chi lo uccise probabilmente fu convinto
di avere ammazzato un traditore.
Eppure Kennedy, in barba
ai suoi guai e ai suoi problemi di salute, non tradì mai il suo
popolo, anzi si batté sempre per il massimo della trasparenza, per
ridurre le tasse (tanto che oggi qualcuno stenta a consideralo
progressista) per incrementare i redditi e soprattutto colpendo
privilegi, cartelli monopolistici e grandi gruppi finanziari e
speculativi. Basti solo pensare alla riduzione dell'imposta sui
redditi, alla tassazione del capital gain che allora era del 25%
contro il 15% di oggi, alla tassazione sui profitti delle imprese,
allora al 50%, mentre oggi è al 35%, e alla tempestiva capitolazione
del cartello degli industriali dell'acciaio, messi sotto inchiesta
dallo stesso Kennedy. Già dal 1960 si era battuto contro lo
strapotere dei petrolieri, presentando un emendamento per limitare i
loro guadagni, contro di esso aveva votato colui che prima divenne
vicepresidente e poi, dopo la morte di Kennedy, presidente in carica:
Johnson. Il principale esponente dei petrolieri, allora il gruppo
economico più potente degli USA, capace di eliminare terribili
concorrenti anche all'estero come Mattei, lo disse chiaramente quando
Kennedy fu eletto: “Con quest'uomo è impossibile intendersi”,
quella suonava già, per chi sapesse intenderla, come una condanna a
morte. E questo evidentemente spiega anche come mai su quella morte
“eccellente” in ben 50 anni, non è stata mai fatta piena luce.
Ma Kennedy, fermamente
avverso ai “poteri occulti” stava anche ristrutturando
profondamente i servizi segreti, inimicandoseli, per cercare di impedire loro di diventare uno
strumento autoreferenziale di sostegno ad un imperialismo globale;
stava colpendo gli straripanti interessi finanziari della FED, con il
suo Ordine esecutivo 11110, decretando che essa, come proprietà di
privati, sarebbe presto fallita, questo voleva dire sottrarre a dei
privati la possibilità di creare e gestire denaro e ricchezza
pubblica.
Si accorse presto del
“pantano vietnamita” e si impegnò a tirar fuori da lì i soldati
americani entro il 1965, ma, come sappiamo, dopo la sua morte le cose
andarono in direzione diametralmente opposta..
Insomma, di nemici se ne
fece tanti e ad ogni livello, quanto basta per capire con adulta
consapevolezza che architettare una versione tuttora ufficiale del
suo omicidio dovuto esclusivamente ad un “uomo isolato”, ha
assunto e assume ancora da 50 anni, la sembianza di uno schiaffo
all'intelligenza, e tuttora si fa sentire come la voce altisonante
dell'arroganza del potere.
Nessuna celebrazione oggi,
dunque, potrà restituire a Kennedy la sua dignità di uomo prima
ancora che di Presidente offeso da un codardo modo di assassinarlo di
nascosto, mentre era inerme e disarmato e affrontava con coraggio
straordinario il suo destino, se non si dirà finalmente ed in forma
pienamente ufficiale “tutta la verità e nient'altro che la verità”
E sì che allora Kennedy
non solo non sapeva se lo avrebbero rieletto, ma era anche
perseguitato da una invalidità permanente: dal morbo di Addison (una
insufficienza ormonale) e da una osteoporosi cronica che
probabilmente lo avrebbe condotto inevitabilmente su una sedia a
rotelle. Forse questa era una ragione in più per non temere le
numerose minacce che aveva ricevuto, per dare un senso ad una vita
che, come sapevano anche gli antichi: “se non è messa alla prova
della ricerca della verità non è degna di essere vissuta”. Questo
probabilmente spiega questa sua affermazione: “The
courage of life is a magnificent mixture of triumph and tragedy". Il
coraggio della vita è un magnifico miscuglio di trionfo e tragedia.
Ma
la tragedia è sempre degli spettatori, di chi resta, perché chi
muore, muore sempre nel trionfo, nella gloria di una morte che la
morte stessa non potrà più smentire.
I
suoi assassini, infatti, così come quelli di suo fratello, di Martin
Luther King, di Malcom X, di Che Guevara, di Lennon e di altri miti
di quel tempo, non fecero altro che sottrarre a questi personaggi la
possibilità che la storia prendesse il sopravvento su di loro.
L'America,
così, suggellava trionfi anche quando erano impossibili,
probabilmente perché, come tutte le società in cui prevale l'usa e getta, poco incline a considerare che la gloria autentica
è sempre, come diceva lo stesso Kennedy, quella che emerge da un
lungo, duro, silenzioso e paziente lavoro. Lo specificò nel suo
ultimo discorso a For Worth, quando ancora credeva che questo lavoro
lo attendesse negli anni successivi, per finire poi, forse un giorno
come il suo predecessore Roosvelt.
Il
destino lo ha fatto invece morire poche ore dopo, con il sole in faccia e con la
brezza che, attraversando i rami delle querce del Texas, sollevava
appena la sua chioma, scoprendo la sua fronte al colpo fatale.
Sotto
il tunnel lui ci finì che era già morto, e non vide mai la sua
oscurità, quella, invece, senza la luce della concreta e definitiva
verità, continueremo a vederla solo noi, e da ormai più di mezzo
secolo.
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