Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

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venerdì 22 novembre 2013

Il gigante buono e i nanerottoli grillini

     




                                       di Carlo Felici


Da ben oltre un secolo la storia del Socialismo italiano è indissolubilmente legata a quella del nostro Paese, considerando, in particolar modo, che essa è direttamente proporzionale alla crescita della nostra democrazia e civiltà, e inversamente proporzionale alla decrescita morale, civile, economica e sociale dell'Italia.
Esso sorse quando i lavoratori venivano massacrati anche a cannonate in piazza e crebbe per combattere non solo con gesti eclatanti ma isolati, come quello di Gaetano Bresci, l'ingiustizia e la tirannia di un regime affermatosi con la monarchia sabauda, negando le migliori istanze repubblicane e garibaldine del Risorgimento, ma per far avanzare con concrete riforme e con iniziative socialmente avanzate, i diritti dei lavoratori, la giustizia sociale e la libertà di pensare, parlare ed agire in Italia.
Fu una fruttuosa collaborazione in senso riformista che, nei primi del Novecento, consentì a Giolitti di realizzare quello straordinario avanzamento sociale ed economico che pose l'Italia, alla vigilia della prima guerra mondiale, nel novero delle più grandi potenze europee, anche se con deviazioni in senso imperialista e colonialista, per altro contestate dalle componenti massimaliste del Socialismo di allora.

Fu la negazione delle istanze socialiste e neutraliste, sostenute, tra gli altri, a spada tratta anche da Matteotti, e in controtendenza rispetto agli orientamenti dei partiti socialisti della II Internazionale, a far sprofondare l'Italia nel baratro e nel tritacarne della prima guerra mondiale, a cui seguì una crisi economica e sociale di immani proporzioni.
Ciò nonostante, fu proprio la crescita che allora sembrò inarrestabile del Socialismo a rimettere in moto il progresso sociale e civile del nostro Paese negli anni del primo dopoguerra, tra il 1919 (in cui il Partito Socialista Italiano raggiunse un terzo dei consensi parlamentari) e il 1921, a torto considerato un “biennio rosso” di caos e di pericolo bolscevico, quando fu lo stesso Salvemini a dimostrare, con i suoi scritti che circolarono anche all'estero, che in quel periodo c'era più caos e conflitto sociale in Inghilterra che in Italia.
Allora l'Italia fu sull'orlo di una “rivoluzione sindacale” che, se si fosse affermata, avrebbe forse portato ad un profondo cambiamento sociale ed anche ad un mutamento istituzionale di tali proporzioni, da trasformare radicalmente la prospettiva storica futura del nostro Paese.
Le forze della reazione se ne accorsero e purtroppo si affermarono, anche a causa delle divisioni interne allo schieramento socialista, irrimediabilmente e rovinosamente scissosi nel 1921, con i massimalisti che, inseguendo vani sogni bolscevichi, rinfocolarono le forze della reazione fascista, e con i riformisti che rinnegando l'unica componente “militare”: gli Arditi del Popolo, in grado di contrastare lo squadrismo, firmarono un infame patto di pacificazione con Mussolini. Fu il preludio della capitolazione, i socialisti, divisi e rinunciatari, iniziarono così il loro declino, ma non fu quella la fine della loro storia.
Essa proseguì con la fulgida testimonianza di Matteotti, la cui morte fece vacillare il nascente regime, con la lotta clandestina durante gli anni della dittatura, con Pertini, Nenni, Rosselli e tanti altri, con la prima lotta armata al fascismo nella guerra di Spagna e con la Resistenza in Italia.
Senza i Socialisti, nel dopoguerra, non avremmo avuto le migliori stagioni della nostra democrazia, come quella dei primi anni '60, in cui si reagì al tentativo della DC di costruire un regime autoritario con l'appoggio degli ex fascisti, e in cui soprattutto si attuò una politica di riforme tali da distribuire quella ricchezza che, con il boom economico, si era concentrata solo nelle mani di pochi e con lo sfruttamento di tanti, per avere anche servizi, scuole, e opportunità migliori per tutti. Anche quella volta, come è sempre accaduto nel nostro Paese, la reazione non si fece attendere in tutta la sua brutalità: iniziò la stagione delle bombe e delle stragi, utile solo a compattare un potere che non si voleva dovesse avere alcuna alternativa, più o meno come si fa ancora oggi, con altri strumenti. Un regime che, garantendo obbedienza, servilismo e fedeltà geostrategica, in cambio, cominciò (e non ha mai finito) ad accumulare privilegi e poteri inattaccabili.
Una stagione che fu interrotta solo dalla meteora craxiana, da un periodo in cui cioè il Socialismo italiano, accogliendo in pieno le sfide dell'epoca in cui agì, si pose come un cuneo nel mezzo dello scontro tra est ed ovest, aiutando all'estero movimenti socialisti in Sudamerica in lotta contro l'imperialismo americano (si ricordi quello nicaraguense e palestinese) ed in Europa i movimenti libertari (si ricordino i movimenti polacchi e cecoslovacchi) che volevano spezzare la pesante catena che li teneva aggiogati al regime sovietico, mentre all'interno del nostro paese si faceva crescere il PIL a due cifre e si riduceva l'inflazione ad una. E quando si ebbe un intervento diretto e militare per riportarci alla consueta condizione di vassallaggio, a Sigonella, per la prima ed unica volta nella nostra storia repubblicana, si decise di reagire e si poté alzare la testa e dire no.
Era evidentemente troppo: il Socialismo doveva essere definitivamente cancellato dal nostro Paese, e quindi, inevitabilmente partì da tutti i fronti non solo l'attacco strumentale e giudiziario, ma anche quello culturale, proteso alla rimozione del nome e della memoria del socialismo italiano.
Tutti sanno che Craxi non fu meno spregiudicato di altri partiti e che, pur non ricevendo soldi né dalla CIA e tanto meno dal KGB, come hanno fatto per decenni i maggiori partiti italiani: la DC e il PCI, sapendo molto bene gli uni degli altri, e con “cassieri” che tuttora sono ai vertici delle nostre istituzioni, ancora oggi, con il solo suo nome, nella italiaca “doxa”, è associato al “latrocinio” e alla corruzione. Ciò nonostante, i livelli endemici di corruzione sono adesso spaventosamente superiori a quelli dei tempi di tangentopoli e non più intrinseci al sistema democratico, ma del tutto eversivi rispetto ad esso.
Tutti sanno che tanti imprenditori cercarono di saltare su quello che allora sembrava il suo “carro trionfale” ma che, concretamente, era solo una macchina di partito che praticava la “legittima difesa”, e tra questi ci fu Berlusconi che Craxi incoraggiò perché credeva che, solo attraverso di lui, si sarebbe potuto rompere il duopolio consociativo tra DC e PCI, esercitato soprattutto in ambito mediatico, ed è altrettanto noto che lo stesso Berlusconi non aiutò mai minimamente né andò a trovare Craxi, quando egli finì in disgrazia. Eppure continua il tormentone per cui Craxi fu solo il precursore di Berlusconi.
I vassalli, valvassori e valvassini di allora stavano solo preparandosi a continuare ad esserlo sotto altre mentite spoglie anche in futuro, ma sempre e comunque con lo stesso obiettivo: accumulare privilegi intoccabili, accompagnati dalla svendita del nostro paese, e dal nostro declino sociale economico e politico.
Un processo iniziato venti anni fa e mai più concluso, anzi oggi ripreso alla grande sotto il ricatto del debito e accompagnato immancabilmente dall'annientamento della cultura e della prassi socialista e, conseguentemente, dalla riduzione dell'unico partito socialista rimasto con tale nome in Italia, a piccolo apparato “satellitare” di un regime che ormai ha assunto senza remora né vergogna, la fisionomia netta di un “monopartitismo imperfetto” di una “diade governativa” alternativlos (a cui, per diktat presidenziale, non è possibile alcuna alternativa).
Lo ricordi bene e ne faccia una ragione di vita e di impegno incessante, chi lotta non da ieri per ridare dignità e forza a quello che è ancora l'unico partito socialista in Italia.
Perché, di fronte a tutto ciò (e lungi da noi avere la velleità di condensare la gloriosa storia del Socialismo Italiano, in poche righe da bignami), è “gioco forza” e anche “giocare facile”, per chi crede di essere l'unica opposizione rimasta, anche solo gridando: “Andate tutti affanculo!”, demonizzare non solo l'eventualità ma persino la storia di chi potrebbe tornare in Europa, così come è validamente tornato in Sudamerica, ad alzare la testa e a rivendicare almeno il primato della politica sull'economia, non rassegnandosi così sempre e comunque, alla servitù dell'inverso..
Il movimento di Grillo, che, tra l'altro, in nome di una non ben quantificabile elemosina di stato chiamata reddito di cittadinanza (come se un cittadino dovesse ridursi, con il suo miserabile “meglio di niente” di ben 500 euro al mese, ad essere suddito senza accorgersene), vorrebbe abolire sindacati, cassa integrazione, INPS ed ammortizzatori sociali, come rottami degli anni '70, adesso ci dice che un socialista, non di oggi, si badi, ma di ieri, e di uno ieri straordinariamente illustre come quello in cui “un gigante buono” della nostra storia (così lo definì Turati) agì e testimoniò fino al martirio, nel nome dei “pezzenti e diseredati” del Sud per ottenere dal governo Giolitti l'avvio dei lavori per l'Acquedotto Pugliese, nel nome chiaro e forte di quel Socialismo che lo fece inquadrare nel mirino di squadristi troppo luridi, codardi e vigliacchi per affrontarlo a viso aperto, tanto che gli spararono alla schiena in perfetto stile mafioso, non deve essere ricordato per quello che fu e sempre sarà. Sì, perché la congrega dei “nanerottoli grillini” che nessuno ha mai visto lottare, soprattutto con lo sciopero, insieme ai lavoratori nei luoghi della sofferenza e della emarginazione sociale,  vorrebbe "emendare"  un tale straordinario personaggio, rappresentandolo come una sorta “Brontolo” qualunque, come un qualsiasi “uomo di cultura sociale, economica e politica”
. Ma fatevela voi, piuttosto, o grillini straparlanti, una cultura sociale economica e politica, prima di avvicinarvi anche solo da lontano ad un gigante simile!
E soprattutto considerate che lo spreco di denaro pubblico consiste più nel mandare ignoranti in Parlamento, con quella legge che voi, solo a parole, contestate ma che, quando vi fa comodo, difendete a spada tratta, piuttosto che nel ricordare al popolo chi e cosa fecero coloro che ancora sapevano bene cosa fosse il combattere fino alla morte per la democrazia e per il Socialismo!
Giuseppe Di Vagno fu il primo parlamentare, non a caso socialista, vittima del fascismo, non sarete voi a farne il primo martire dell'ignoranza (madre suprema di tutte le dittature) in un Parlamento che debba dimenticarsi del Socialismo.
Mettetevi dunque il cuore in pace: Grillo tra un secolo, se non prima, da polverone sarà "emendato" dalla storia a "polverina" e neanche più tanto da “risolino”, mentre, con il Socialismo, da un continente all'altro del mondo, ancora, e anche tra più di un secolo, continuerà a spuntare glorioso il Sol dell'Avvenire.




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