Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

domenica 7 dicembre 2014

Lo sciopero a Babbo Natale morto





Cento anni fa era in corso la Grande Guerra, che fu la più grande catastrofe che investì il continente europeo, destinandolo alla sua marginalizzazione nel corso della sua storia futura, funestata da altre guerre: la seconda guerra mondiale e la guerra fredda. Entrambe rovinose ed entrambe destinate a mettere i popoli europei in conflitto tra loro.

L'Unione Europea è nata con il presupposto di far finire definitivamente questi conflitti nel nostro continente, ma sta miseramente fallendo il suo obiettivo da tempo.

Da quando nella ex Jugoslavia, stragi, epurazioni e pulizie etniche la videro impotente, fino ad oggi che tale storia si ripete ai confini della Russia, con un conflitto civile in corso le cui le vittime  tra la popolazione inerme non accennano a cessare. In entrambe i casi, da più di 20 anni a questa parte, la UE, senza un sostanziale ruolo politico e militare autonomo, si è affidata e continua ad affidarsi alla sempre più pesante tutela militare dell'alleato statunitense, all'interno di una NATO tuttora dominata da esso, per marcare non solo i margini della sua sicurezza, ma anche quelli della sua eventuale egemonia finanziaria ed economica in un continente del tutto incapace di proporre una sua politica internazionale, o di svolgere opera di mediazione e di interposizione nei teatri in cui tuttora imperversa la guerra e che, oltre tutto, si sta pericolosamente avvitando su se stesso.

Finita infatti la guerra calda e fredda tra i popoli, è iniziata una guerra tanto subdola quanto rovinosa contro i popoli europei, da parte di apparati finanziari e speculativi corrotti e collusi a tutti i livelli con le peggiori mafie continentali, in nome del principio: pecunia non olet et imperat super omnia.



A questo diktat sono state prostrate le economie continentali di tutti i paesi che hanno aderito all'eurozona, con l'illusione che finalmente ci fosse un equo ed unico sistema fiscale, che il debito fosse equamente ripartito e che gli stipendi, sempre su base continentale, fossero finalmente equiparati. Invece abbiamo avuto l'esatto contrario. Il debito è diventato uno strumento di guerra tra paesi ricchi e paesi poveri, gli stipendi falcidiati in nome di una fantomatica crescita solo dei profitti per gli speculatori, ed il sistema fiscale cade come una mannaia contro i popoli per costringerli a svendere le loro risorse ed i loro risparmi alle peggiori mafie colluse con gli apparati amministrativi e di governo. Questi mali non si sono manifestati in modo uniforme in tutta l'Europa, ma in maniera più o meno aggressiva a seconda delle condizioni endemiche di ciascun paese, ed ovviamente in quelli come il nostro già da tempo afflitto dal cancro della corruzione e della speculazione politico-mafiosa, stanno attualmente mettendo a serio rischio la stessa tenuta non solo politica ma anche sociale del tessuto nazionale.

La cosa più tragica attualmente in corso è che non si vedono rimedi, perché nella nave che affonda oramai sembra imperare il “si salvi chi può” e chi non può, ovviamente, schiatti.

Le cifre della moria economica ed anche umana di questo paese sono ormai terrificanti,e appaiono persino peggiori di quelle, mutatis mutandis, del primo dopoguerra, degli anni successivi alla Grande Guerra, quando, anche se non destinata a rivoluzionare il paese, come allora era necessario, una forte reazione politica e sindacale almeno ci fu.

Oggi, nel desolante inverno delle spinoziane “passioni tristi” è in atto solo un ripiegamento che sfocia in proteste e movimenti protestatari del tutto incapaci di produrre politiche innovative ed avviare socialmente il paese ad una vera svolta almeno di sopravvivenza dignitosa.

L'ultimo atto di questa Caporetto del popolo italiano è l'approvazione del Job Act. Una parola che è tutto un programma e che anche simbolicamente riduce il lavoro, come valore, a impiego fittizio, a “lavoretto” precario, sottopagato ed arbitrariamente diretto dalle esigenze del mercato, del profitto e dei suoi sacerdoti, vescovi e papi in quella che è ormai la Corte di Versailles europea: la BCE, dove impera il diktat del nuovo assolutismo contemporaneo: L'Europa sono Io. E io elargisco favori e finanziamenti a chi voglio, anche se poi a giovarsene sono le mafie territoriali e i loro referenti politici, ma non i popoli europei.

Contro tutto ciò ci si aspetterebbe una nuova primavera dei popoli, una insurrezione generale continentale, fatta di scioperi di lunga durata, di occupazioni, di proteste spontanee, di disobbedienze civili e passive, di assedi ai palazzi istituzionali, coordinati ovunque e simultanei in tutto il continente, più o meno come scoppiarono le rivolte nel 1848.

Tuttavia ci troviamo al cospetto di una reazione misera, piccola, non di rado meschina e del tutto speculare a tali dirompenti politiche.

Gli scioperi generali di un giorno. Vale a dire: curare una metastasi con una aspirina, e per di più con la complicità dei presunti “dottori”

Il caso emblematico di Epifani, a lungo segretario del sindacato che oggi porta i lavoratori allo sciopero generale a “Babbo Natale morto”, perché, essendo già stata votata dal parlamento questa legge iniqua, esso non avrà altro effetto che falcidiare le già misere tredicesime dei lavoratori ormai senza più rinnovo contrattuale né progressione di carriera, è emblematico. Lui, che fino a qualche tempo fa incitava a scioperare e diceva che l'articolo 18 sarebbe rimasto esattamente come era stato creato, adesso, divenuto parlamentare del partito che, praticando a lungo l'antiberlusconismo, sta dimostrando di essere più berlusconiano dello stesso Berlusconi, ha votato per lo stravolgimento completo dell'articolo 18.

Tutto questo ricorda molto amaramente, tanto per tornare all'inizio di questo intervento, l'atteggiamento dei generali della Grande Guerra, gli stessi che mandavano allo sbaraglio i poveri fanti e se ne restavano però al riparo, nemmeno a guardare la strage da loro provocata, ma semplicemente a leggere i freddi bollettini di guerra che enumeravano centinaia di migliaia di perdite per due zolle di fango e di sangue rappreso. Oggi i segretari sindacali invece contano solo i partecipanti.

Non tutti nella Grande Guerra obbedirono, alcuni persino disertarono, altri presero le armi contro i loro carnefici. Possiamo biasimarli? Forse sì, se non ottennero altro che il plotone di esecuzione. Sicuramente no, se, una volta organizzati, ottennero una Rivoluzione e la fine di una inutile strage.

Purtroppo i veri rivoluzionari sono in Europa ormai una specie in via di estinzione, il loro operato e soprattutto il loro esempio, infatti, è stato sostituito dai “guardiani dei cancelli del potere”. Quelli che, anziché rischiare la galera e l'epurazione, vanno in giro per le piazze a fare i comici, a fare le conferenze filosofiche, a sbandierare l'eurofollia dopo essersi candidati per l'eurocomplicità.  Sono gli anticapitalisti al soldo della macchina mediatica del capitale. Buoni solo per un popolo assuefatto alla lobotomizzazione della TV e del Web, oramai incapace persino di sollevare la testa dall'hi pod, mentre cammina, a cui girano vorticosamente più i pollici che i coglioni. Mentre un vero rivoluzionario ha sempre parlato poco e agito molto, senza farsi minimamente pubblicità. Anzi, persino morendo clandestino, come Mazzini.

E' un quadro desolante da gallinaro impazzito, più che da preludio alle “galline in fuga”. In cui l'ennesimo sciopero appare come un forsennato chicchirichì generale, prima che arrivi il fattore di turno a torcere il collo a tutti i “polli”, per arrostirli allo spiedo.

E' uscito un film mediocre sulla vita di Leopardi, che cede, come in altri casi, ai luoghi comuni della deformità fisica e solo a tratti, ci restituisce il clima e il tormento del poeta che più di altri seppe essere “veggente del suo tempo”. Vi vengono citate alcune poesie come l'Infinito e la Ginestra con belle ambientazioni, ma è del tutto ignorata quella che era una rappresentazione oggettiva, disincantata e spietata dell'Italia di allora ed in cui Giacomo, tra l'altro, scrive:


Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive,
Mai non potrebbe il pianto
Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;
Che fosti donna, or sei povera ancella.
Chi di te parla o scrive,
Che, rimembrando il tuo passato vanto,
Non dica: già fu grande, or non è quella?
Perchè, perchè? dov'è la forza antica,
Dove l'armi e il valore e la costanza?
Chi ti discinse il brando?
Chi ti tradì? qual arte o qual fatica
O qual tanta possanza
Valse a spogliarti il manto e l'auree bende?
Come cadesti o quando
Da tanta altezza in così basso loco?
Nessun pugna per te? non ti difende
Nessun de' tuoi? L'armi, qua l'armi: io solo
Combatterò, procomberò sol io.
Dammi, o ciel, che sia foco
Agl'italici petti il sangue mio.
 

Mai nessuno che metta in evidenza il fatto che quel povero giovane, isolato e schernito dalla gente e dalla intellighenzia dell'epoca, proclamava, pur nella debolezza della sua misera condizione fisica, di voler combattere per la sua patria, e versare il suo sangue per essa, ben prima di quando lo versò il poeta e martire Mameli. Anzi, tuttora si procede con il denigrare l'unico patriota di allora che lo accolse, lo accudì e che non si fece pavido di mostrare sia la sua grandezza che le sue debolezze: il patriota Antonio Ranieri, che gli fu accanto sino alla morte.

Questo paese beghino e bigotto che vorrebbe fare di Leopardi, in alcuni casi, persino un Giobbe postumo, così come allora certuni cercarono di farne un gesuita, non dimentichi la prolusione di un grande filosofo che seppe, per primo rendere la sua poesia indissolubile dalla sua filosofia, nel primo centenario della sua morte: Giovanni Gentile: “No; le parole, i pensieri più o meno frammentari e sparsi, le sentenze assai spesso felicemente formulate non possono essere per il critico altro che accenni, spie dell'anima del Poeta. La cui individualità è caratterizzata e, propriamente individuata da un certo atteggiamento che è la concreta filosofia dell'uomo, quella che conferendo all'uomo un carattere, non ci spiega tanto le sue parole, spesso espressioni di cose pensate e non sentite, ma le azioni in cui l'uomo opera come sente nel suo più intimo essere”

“Ηθος Ανθρωπῳ Δαιμων” diceva il grande Eraclito. Il demone che anima l'uomo è il carattere che lo fa agire.

Questo demone pare abbia abbandonato oggi gli italiani, perché essi stessi si sono ridotti ad essere privi di anima, privi di grandi valori in cui credere, privi di idee, più intenti a rendersi merci appetibili da offrire al profitto ed ai mercati. Come una terra un tempo Felix, si riduce ad essere Inferno di Fuochi e di Veleni.

Ci vollero 100 anni da quella poesia di Leopardi alla fine della Grande Guerra affinché l'Italia si sollevasse un poco dalle ginocchia ai suoi primi passi, con il capo meno chino. Auguriamoci che ce ne vogliano di meno affinché essa possa saper camminare speditamente con le sue gambe, invece di azzopparsi definitivamente da sola.

Oggi è presa a calci e vilipesa da un cancro di corruzione e di iniquità che è giunto ad aggredire persino il suo cuore e la sua capitale.

Oggi ci vuole ben altro che lo sciopero del “Babbo Natale morto”.
Ci vuole chi ami questo Paese più dei suoi soldi, di se stesso, della sua vita e persino della sua religione. Chi guardi oltre gli oceani ed oltre il futuro, non chi si rassegna ad imitare il peggiore passato nostro e di altri europei. Ci vogliono protagonisti della tempra di coloro che hanno fatto nascere lo Statuto dei Lavoratori, non miseri portaborse come quelli che sono stati complici dei suoi sicari.

Mediti su questo sia chi scenderà ancora una volta in piazza facendosi impallinare per amor di dovere e disciplina, sia chi la diserterà sconsolato, credendo che astenersi lo metta vanamente al riparo dall'invasione dell'assolutismo finanziario cainamente e mafiosamente speculatore.

Il Piave non mormora più, ormai tace o... straripa.

C.F.

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