Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

martedì 2 giugno 2015

Oltre la repubblica degli utili idioti


                                       
                                                di Carlo Felici

Chi scrive rivendica non solo orgogliosamente il suo massimalismo, ma, per di più, lo ritiene storicamente il più fruttifero di valori e di risultati nella storia del nostro paese.

Se il massimalismo di Mazzini e Garibaldi avesse vinto nel Risorgimento avremmo avuto, dopo l'esperienza gloriosa della Repubblica Romana, una democrazia matura con cento anni di anticipo, e se invece tale massimalismo repubblicano avesse vinto nel primo dopoguerra, con Corridoni e D'Annunzio, avremmo avuto una repubblica che forse ci avrebbe fatto risparmiare la dittatura e una seconda rovinosissima guerra, consegnandoci uno stato democratico che non fosse a sovranità sempre più limitata come quella che abbiamo oggi.

Ma la storia non si fa con i se o con i ma. Essa procede con i fatti, e solo con quelli mostra la sua inequivocabile verità.

La verità di oggi è quella di una Repubblica in cui gli orientamenti economici e sociali sono decisi a Bruxelles e le cui scelte geo-strategiche e militari sono invece decise a Washington.

L'Italia oggi ha un margine di autonomia e di sovranità inferiore persino a quello lasciatole per concessione dei vincitori della seconda guerra mondiale, nel 1946, anno in cui si decise il suo assetto repubblicano, e sicuramente è attualmente il più limitato di tutta la sua storia unitaria.

In queste condizioni, in cui le scelte di investimenti pubblici sono impedite a monte dai controlli di Bruxelles e le stesse risorse pubbliche sono dirottate anch'esse a priori per spese militari, spesso tanto enormi quanto inutili ed ipocrite decise a Washington, specialmente quando vengono propagandate per scelte di difesa di una falsa libertà che coincide piuttosto con precisi interessi neo-coloniali, è del tutto evidente che festeggiare la nascita di una Repubblica di servitori e vinti, non ci rende certo particolarmente gioiosi né orgogliosi.


Non dobbiamo però, a causa di questo, dimenticare né chi ha nel passato lottato perché l'Italia fosse una, libera e sovrana, né chi, conseguentemente, è stato imprigionato, ucciso o torturato, soprattutto non dobbiamo dimenticare la cultura politica con cui si è voluto che l'Italia nascesse e che, con essa, ci fossero italiani degni di chiamarsi tali. In special modo, in un periodo in cui la cultura politica è stata letteralmente desertificata dalla nascita di partiti-contenitori di interessi ed espressione di personalismi neofeudali. Tanto che questo annichilimento culturale ha portato solo ad un declino del ruolo dell'Italia e al suo immiserimento sul piano sociale ed economico.

Siamo arrivati al punto che un partito che tuttora si ostina a definirsi di sinistra, mette in atto politiche che la destra, quando è stata al potere, non è riuscita a far passare, e continua a governare con chi ha lasciato quella destra ritenendo per questo giustamente, dal suo punto di vista, che in tal modo si potessero realizzare meglio obiettivi coerenti con la propria vocazione politica, senza nemmeno avere tanto consenso.

Da svariati anni un premier non viene eletto dal popolo e da svariati anni non vengono che varate leggi elettorali sempre più incostituzionali.

L'ottusità e la nefandezza di tale politica purtroppo si regge sul fatto che la gente non vota più e sulla ancor più triste circostanza che, chi è rimasto a votare, lo fa ormai per precisi interessi clientelari, sperando cioè di poter trarre vantaggio personale dal saltare sul carro di chi esercita, con un ruolo sempre più personalistico, la funzione di leader politico.

In Italia non si è ancora toccato il fondo ma, in compenso siamo già un pezzo avanti lungo questa strada rovinosa: la metà dei cittadini non vota più, sia perché non ha un suo adeguato referente politico, sia perché non ne trova tra coloro che impongono la loro presenza politica con leggi maggioritarie ed incostituzionali. Quando una repubblica che, sarà bene ricordarlo, vuol dire etimologicamente res-publica: cosa pubblica, bene comune, non rappresenta più nemmeno la metà di tutti e della comune sovranità democratica, allora essa cessa, di fatto, di esistere per essere sostituita concretamente da una oligarchia. E, da che la storia viene narrata, di fronte ad ogni oligarchia e tirannide prima o poi, quando risorge e insorge una seria coscienza popolare, la lotta si fa sempre più dura e con ogni mezzo.

Oggi dunque non abbiamo più nulla da festeggiare, sia perché quella Repubblica nata con un referendum popolare il 2 Giugno 1946 non esiste più nelle generazioni che la vollero e lottarono per costruirla, sia perché la Costituzione che nacque allora è stata abbondantemente snaturata nel tempo, fino a rendere inapplicato e vano anche il suo simulacro formale, sia perché anche quest'ultimo sta per essere profondamente snaturato, e sia infine perché oggi soprattutto l'assetto istituzionale del nostro paese risulta, di fatto, costituito da una oligarchia di potere che attua le direttive di un'altra oligarchia di potere economico e militare la quale agisce su scala continentale.

Non siamo dunque in una Repubblica ma in un feudo di un impero economico e militare.

Siamo quindi in una condizione, di fatto, molto più simile all'Europa della Restaurazione che a quella che vollero i sognatori di Ventotene come Spinelli.

Di fronte a ciò, esiste un'altra anomalia italiana: quella cioè che mentre in altri paesi penalizzati dalla crisi e a forte riduzione dei diritti democratici, stanno nascendo movimenti di massa destinati ad espandersi e a contestare concretamente certe direttive oligarchiche e timocratiche, coordinandosi con altre forze politiche e raggiungendo per questo percentuali di consenso tali da governare o vaste aree oppure anche l'intero paese, da noi, invece, chi contesta tale assetto resta rigidamente inquadrato nella logica imperialista del divide et impera. In pratica, procede da solo, in ordine sparso e senza accettare compromessi con nessuno.

Il risultato è che questi movimenti da noi rappresentati in particolare da leader più che da progetti, come Grillo e Salvini, crescono ma non si uniscono e, di fatto, consentono a chi gestisce il potere, anche se perde consensi, di restare solidamente in posizioni di governo, a livello nazionale e locale.

In poche parole, si contesta il professionismo della politica, avvitandosi sempre di più nel professionismo dell'opposizione o dell'antipolitica.

Anche quella che a lungo e con il marchio consociativo del forchettonismo rosso, è stata definita sinistra italiana, ma che, almeno a livello locale, non ha disdegnato di governare con chi governa a livello nazionale tuttora con la destra, sconta la sua schizofrenia politica, o con l'isolamento o con il marchio dell'idiota, utile se fa comodo a gestire il potere, e se non fa comodo, a chi il potere lo sottrae per altri ma non differenti fini autoreferenziali.

Va da sé che una sinistra così non è utile a nessuno, tanto meno a se stessa, e non può che rappresentare una idiozia all'ennesima potenza.

Non sono idioti però coloro che cercano di opporsi in nome di ciò che chi ha oggi il potere tende a negare sempre di più: scuola pubblica, servizi efficienti e non costosi, dignità nazionale, controllo dei flussi migratori, lavoro non precario, sanità alla portata di tutti, beni comuni non privatizzabili, posizione internazionale degna di un grande paese mediterraneo, e via dicendo..

La idiozia consiste solo nel continuare ad andare in ordine sparso, nel farsi epurare dai vari capi, capetti e capettini di turno, servi obbedienti del divide et impera, e soprattutto nel non procedere con quella crescente credibilità che serve per incrementare i consensi.

Gli unici che sembrano avere appreso tale lezione sul campo sembrerebbero i grillini, che non sono rimasti nel limbo di una “coalizione sociale” non ben definita e senza obiettivi elettorali e concretamente politici, ma che hanno portato avanti le loro battaglie nei territori e soprattutto nel Parlamento nazionale con quel sacro massimalismo che ha animato le migliori stagioni della nostra storia. Tanto che, pur perdendo consensi, in un ambito per altro amministrativo a loro ancora poco congeniale, sono diventati, in quest'ultima tornata elettorale, il secondo partito, riducendo la distanza dal primo: il PD a circa il 4/5%

Basterebbe soltanto che quella loro percentuale si aggiungesse a quella di un movimento come quello che in Liguria a smesso di fare l'utile idiota del PD per ottenere, su scala nazionale, precisi obiettivi concreti come, ad esempio il reddito di cittadinanza o la tutela dei diritti costituzionali e della scuola pubblica, per avere una vera svolta in Italia, e creare un movimento largamente comparabile a quello di Podemos in Spagna e Siryza in Grecia.

Diciamocelo chiaramente: la base di queste forze politiche è unita, molti grillini la pensano non solo come tanti che continuano a chiamarsi di sinistra, ma persino come altri che si chiamano di destra ma hanno pur tuttavia obiettivi di tutela dello stato sociale. Non sono però uniti i capi, capetti e capettini di questi soggetti politici, anzi spesso sono conflittuali e livorosi tra di loro. Ed è facilissimo capire perché: il loro obiettivo non è quello di creare una solida ed efficace alternativa politica, economica e sociale in Italia, ma di mantenere la loro rendita di posizione, la loro clientela, i loro affarucoli qui e là, barattando appoggi e consensi.

Non potrà dunque esserci alcun terreno di intesa né alcuna speranza di creare una seria alternativa se si continuerà a procedere in termini di vantaggi clientelari, di rendite di posizione, di inciuci e di professionismo della politica o della sterile opposizione. Se la politica in Italia continuerà ad essere ostaggio delle solite compagnie di ventura.

Solo conquistando il consenso e governando regioni e paese in maniera radicalmente diversa dal passato si potrà pensare di restituire dignità e grandezza ad un paese avvilito dalla crescente povertà, dalla precarietà endemica, da una Europa che ci abbandona all'immigrazione a senso unico passivo e mafioso, e dalla sudditanza economica e militare.

L'Italia non ha bisogno di altri ducetti che usino i loro partiti o i loro movimenti per costruire i loro feudi e le loro prebende, ne ha già avuto uno che forse, tutto sommato, aveva ambizioni personali minori e collettive maggiori, conseguendo risultati molto più eclatanti e purtroppo anche rovinosi.

L'Italia ha bisogno di ritrovare una rappresentanza politica fondata su una cultura che sia quella del XXI secolo, in cui questione sociale e questione ambientale non sono più separabili, ma restano inscindibili al di là di ogni localismo e di ogni xenofobia o di qualsiasi sterile nazionalismo o internazionalismo asfitticamente monetario.

Questa cultura non può che essere quella di un Ecosocialismo democratico e socialmente avanzato, così come viene teorizzata da illustri filosofi e scrittori dal Sudamerica all'Europa, come Leonardo Boff e Michael Löwy

Nel Risorgimento l'Italia seppe alzare la schiena e la testa perché volle coniugare la sua cultura e prassi politica con il meglio di quella che allora procedeva in una Europa che voleva conquistare la primavera dei suoi popoli, lo stesso, se vogliamo uscire dalla gabbia di ferro di una Restaurazione monetaria, dobbiamo fare oggi, per un nuovo, aggiornato ed efficace Risorgimento Ecosocialista, in cui brilli ancora il sole del futuro.

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