Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo
Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

lunedì 8 giugno 2015

SVEGLIA!






Il 27 Giugno si prospetta la seconda assemblea dei socialisti italiani che dovrebbe avviare e portare a termine il processo già iniziato il 29 marzo, ma già appare un segnale, a mio parere, poco incoraggiante. Infatti la prima è nata all'insegna del Risorgimento Socialista, la seconda parte con un nome che sembra quasi l'ammissione di una sconfitta: “Ricominciamo dal Socialismo”.

Ricominciamo, infatti, vuol dire che in qualche modo o ad opera di qualcuno, si è smesso di essere socialisti e si vuole, di conseguenza, ricominciare.

Ma “ricominciare come e con chi” ancora non è chiaro. Lo scopriremo dunque, come cantava in una famosa canzone Battisti: “solo vivendo”?

Sicuramente sarebbe stato meglio mantenere la dizione originaria “Risorgimento”, che dà più l'idea di qualcosa che risorge dalle sue ceneri, dato che, obiettivamente, il socialismo italiano è stato "bruciato" da tempo. Almeno da quello in cui, con un Presidente della Repubblica ed un Presidente del Consiglio italiano socialisti, si provò a dare, concretamente e con risultati apprezzabili, nuovo slancio, autonomia e credibilità, non solo ad un modello di socialismo moderno, che altri avrebbero tentato di copiare in malo modo e grossolanamente, ma anche e soprattutto ad un Paese che ha vissuto per 70 anni il paradosso di scoprire una libertà individuale sempre maggiore, mantenendo una sovranità e una libertà collettiva sempre più limitate.

Oggi, come ho già scritto in un mio precedente intervento, l'Italia ha una sovranità che è la più ridotta e marginale che abbia mai avuto, non solo dalla nascita della Repubblica, ma nell'intera sua storia unitaria. Qui non si decide più nulla: né la politica economica e tanto meno quella geostrategica e militare, il deprimente risultato è che abbiamo al potere in sede nazionale dei fantocci che fanno i gradassi per mantenersi in sella, osservando scrupolosamente le direttive che ci vengono dagli USA e dalla Germania, e in sede locale, amministratori corrotti che lucrano sulla incapacità di trovare concrete alternative a questo assetto politico generale.

Lo abbiamo visto e continuiamo a vederlo con chiarezza sempre maggiore: l'incremento della immigrazione oggi è direttamente proporzionale ai profitti illeciti che vengono intascati da amministratori con le tessere dei partiti che gestiscono il potere a livello nazionale, e con un capitale crescente che supera ormai quello del commercio della droga.

La corruzione è l'elemento che maggiormente favorisce la crescita del debito pubblico, perché essa porta allo spreco delle risorse che vengono reperite mediante gli introiti fiscali.

La conseguenza inevitabile è che le tasse non possono che aumentare e che il patrimonio pubblico e privato degli italiani deve essere svenduto per coprire i buchi crescenti di bilancio.


Nessuna patrimoniale (bandiera da sempre di una sinistra stracciona) potrà mai arrestare questa emorragia di risorse, ma, anzi, permanendo questo stato di cose, l'ulteriore sallasso sui patrimoni privati non potrà che rendere il dissanguamento più copioso.

Il progetto per far tornare l'Italia ad essere “una espressione geografica”, spezzandola in due: una parte settentrionale sotto il controllo della Germania e una meridionale sotto il controllo degli USA, è chiaro, semplice e progressivo: 1) Favorire il permanere al potere di classi politiche autoreferenziali sempre più servili e corrotte 2) Incentivare la nascita di opposizioni politiche demagogiche municipalistiche capaci di raccogliere consenso, ma sostanzialmente incapaci di realizzare una alternativa di governo. 3) Incrementare l'immigrazione e il disagio sociale che spesso ne deriva, insieme alla marginalizzazione degli italiani ridotti in condizioni crescenti di precariato e povertà 4) Aumentare progressivamente le tasse, portando il ceto medio ad immiserirsi e a svendere soprattutto il suo patrimonio immobiliare. 5) Ridurre drasticamente gli spazi anche istituzionali in cui si può ancora esercitare qualche forma di sovranità popolare, assieme alle risorse pubbliche e ai servizi destinati alla privatizzazione e alla svendita 6) Reprimere in maniera sempre più drastica e violenta ogni forma di dissenso organizzato che non sia gestito da organizzazioni sindacali e politiche collaterali a tale assetto. 7) Uso infine della Magistratura per fini speculari a tale orientamento generale.

E' del tutto evidente che non si reagisce seriamente a tale prospettiva con la formazione di un partitucolo o, con manovre più o meno verticistiche di capetti in fregola di rivincita e autoriciclaggio per la creazione di un soggetto politico più o meno collaterale a quelli che da tempo sono complici di tale distruzione e smantellamento di un intero Paese. Per realizzare un obiettivo serio e credibile ci vuole ben altro.

Bisogna essere paradossalmente reazionari più che progressisti. Nel senso “letterale”, che non bisogna assecondare il progredire di tale sfascio, ma reagire ad esso in maniera efficace e tempestiva.

Reagire ovviamente non significa tornare ad un passato più o meno recente o remoto di violenze e sopraffazioni. La storia non si ripete e quando qualcuno pensa che ciò possa avvenire, in realtà, mette in atto solo una grottesca e sovente tragica e farsesca millantatura.

Oggi possiamo rimettere in campo i valori che animarono il Risorgimento, che fecero nascere la Costituzione, o persino quegli orientamenti che, durante il Fascismo, prima che esso fosse sopraffatto con tutta l'Italia, anche allora, dai poteri speculativi e finanziari e da un progetto mirato a rendere l'Italia succube del Germanico Terzo Reich, contaminandosi di becero razzismo, cercarono di realizzare una modernizzazione dello Stato, non sulla base di una anacronistica lotta di classe, ma su quella di un serio interesse nazionale, purtroppo sconfinato in sgangherati progetti imperialistici. Se infatti la lotta tra classi o categorie di persone sfruttate ed altre dedite allo sfruttamento e alla speculazione appare leggittima, essa non può che avvenire mediante la forza dei singoli stati e deve essere coordinata a livello internazionale.

E' necessario per questo rimettere in primo piano la storia, la tradizione, la cultura e la identità di un popolo che ha riconquistato la sua dignità con una Costituzione che rischia di essere oggi in gran parte snaturata, e di una Patria finalmente riconciliata secondo la sua indispensabile dignità.

E a chi dice che ciò non è altro che rossobrunismo si può tranquillamente replicare che invece è indispensabile e socialmente avanzato tricolorismo.

Fu Goebbels a definire gli italiani “un popolo di zingari destinato ad imputridire”, oggi noi rischiamo che la decadenza progressiva di questo Paese ci faccia fare questa fine con il beneplacito delle autorità che ci governano.

E' dunque chiaro che l'Italia ha prima bisogno di italiani pronti a lottare per non imputridire ed essere consegnati di nuovo anonimamente alla geografia di un continente che ci relega alla condizione di “cassonetto della povertà globale”, e poi di un soggetto politico, di un partito o al limite di una moneta e persino di un esercito che possano invertire seriamente quello che appare il suicidio di una Patria

Come ho già messo numerose volte in risalto, la prospettiva di un secolo che rischia di vedere l'autoannientamento collettivo dell'umanità a causa delle guerre, delle ingiustizie sociali, delle migrazioni bibliche e della devastazione ambientale, non può che essere salvata mediante una forma avanzata di Ecosocialismo. Si badi, una forma non “progredita” perché il progresso degli assetti vigenti non fa che accelerare i processi disgregativi e distruttivi, ma rivoluzionaria e reazionaria, tale cioè da reagire seriamente alle tendenze in corso e rivoluzionarle a tal punto da rendere gli assetti attuali irriconoscibili. Ovviamente non quelli che favoriscono la fruizione della libertà e della giustizia sociale, ma quelli che le ostacolano irrimediabilmente.

Ad essere colpite oggi sono tutte le classi sociali e tutti i soggetti non legati in maniera clientelare con gli assetti di potere. Ed essendo essi sempre di meno, vediamo chiaramente che anche il voto è, di conseguenza, espressione di un consenso inferiore alla metà di coloro che ne hanno diritto.

Chi ha interesse a mantenere i propri privilegi non può può che bollare come “populista” ogni serio tentativo di scalzarlo. Ma si guarderà bene dal definire clientelare e oligarchico il consenso che riesce a conservare. Piuttosto userà i soliti sostantivi del tutto snaturati e privi di senso, non solo storico ma perfino semantico, per bollare e prevenire ogni eventuale forma di espansione di un consenso antagonista: epiteti come demagogico, sovversivo, inconcludente, rossobrunista e persino fascista o terrorista. Oltre ovviamente a considerare necessaria una dialettica politica già spuntata dai tempi di Mazzini: quella tra destra e sinistra, tipica e nata, come rilevava già nel 1849 il patriota genovese, in ambito monarchico costituzionale.

La lezione più seria di tale inversione di tendenza ci viene oggi, nel mondo, dal Sudamerica, in cui patriottismo ed internazionalismo sono stati negli ultimi anni coniugati con efficacia per reagire, con risultati rilevanti, al perdurante neocolonialismo esercitato verso i Paesi di quel continente, specialmente nel periodo della guerra fredda, dagli USA.

Nel Sudamerica dove oggi prodotto interno lordo e giustizia sociale procedono molto più speditamente che in vari stati europei, non si è esaltato lo stato nazionale a scapito di altri, ma si è giustamente messa in moto una rivoluzione elettorale che ha portato al potere democraticamente partiti e leaders che hanno interpretato le necessità di cambiamento in termini di giustizia sociale e di proficui rapporti di collaborazione con altri Paesi seriamente intenzionati a percorrere la stessa strada. Ciò non toglie che anche in quei casi siano emersi fenomeni di corruzione, di inefficienza e di ingiustizia, anche però favoriti e finanziati da chi quei cambiamenti non li ha mai voluti.

Sono gli stessi che oggi dicono di voler combattere il terrorismo e, al contempo, ne favoriscono le cause e la diffusione. In particolare nei Paesi che sono più vicini al nostro ed all'Europa, ed in funzione destabilizzante. Lo stesso accade nell'Europa dell'Est, dove, per perseguire tali fini, e creare un nuovo muro tra Russia ed Europa, non si è esitato a finanziare e a far crescere persino gruppi neonazisti.

Una Europa che è sempre più angusta e senza spazio né respiro, sia nel suo versante meridionale che in quello orientale, non può che essere schiacciata verso quello occidentale, risultando di fatto una appendice nordamericana, magari sacrificabile, in un eventuale conflitto, per salvare proprio gli interessi prevalenti di quella che ambisce ad essere e restare l'unica superpotenza globale.

Tornando quindi a noi che, in nome di qualcosa che sembra sparito dalla stessa civiltà di questo Paese, e cioè la cultura politica, vogliamo, dobbiamo e possiamo costruire un soggetto politico che possa rispondere a queste sfide validamente e concretamente, non possiamo che considerare di farlo nascere ex novo. Così come è accaduto tante volte nel nostro illustre passato. Con un imprevedibile e repentino scatto di dignità e di fierezza.

Un soggetto grande, libero, e largamente rappresentativo di ogni ceto e classe sociale, non solo dei lavoratori falcidiati negli stipendi, non solo dei precari a cui è stata promessa una stabilità mascherata da un termine che nell'anglofonia imperante si chiama “atto del lavoretto”: Job Act” e che rischia di ridursi ad una serie di tutele di crescente servitù, non solo dei pensionati a cui è riservato il maggior carico fiscale, ma anche dei piccoli e medi proprietari, delle famose partite Iva e dei tanti tantissimi imprenditori ridotti non solo sul lastrico ma anche alla disperazione del suicidio da uno Stato sostanzialmente indifferente.

Un soggetto politico che sappia cioè rivolgersi a tutti coloro che ancora “combattono e producono”, non solo ricchezza e crescita ma, ancor di più, “ottimismo e speranza”, che torni ad incontrare la fiducia e il consenso di coloro che non votano più, e che soprattutto sappia rovesciare questa nefasta tendenza al servilismo e alla svendita del nostro territorio e delle nostre migliori risorse pubbliche e private.

Come chiamarlo conta poco, che ci sia invece conta moltissimo, così come è necessario che nasca in tempi rapidi, perché sempre più rapido appare il processo di disgregazione di questo Paese.

Rimettere in piedi uno Stato ridotto a carrozzone clientelare e parassitario per decenni, non è facile, ridare ad esso uno spessore morale, senza che abbia la pretesa di presentarsi come “etico”, imponendosi autoritariamente su tutti, è ancora più difficile. Tuttavia senza questo processo che deve pur tuttavia coinvolgere tutti coloro che lo servono e se ne servono e che negli ultimi anni sono stati relegati nella tristissima condizione di base raschiata fin sotto la pelle, di un barile sempre più sfondato e sulla cui rovina si sono pretesi i sacrifici più inumani, senza per altro dare alcun buon esempio, non andremo da nessuna parte, continueremo piuttosto ad affondare nelle nostre miserie autocommiserative.

E' questo un compito, dunque, che deve coinvolgere tutti in un vero e proprio sforzo rivoluzionario: forze dell'ordine, magistrati, docenti, medici, lavoratori pubblici e privati, imprenditori, pensionati, commercianti, studenti, precari, tutti coloro che ancora sentono di essere italiani, cittadini e patrioti, che ancora credono che il Tricolore sia un simbolo non solo da esporre, ma a cui dare risalto, così come lo si dà alla propria vita.

Un nome adatto per richiamare ai suoi doveri e ai suoi diritti inalienabili un popolo narcotizzato da TV, social-network e soprattutto dalla rassegnata condizione del pollo in batteria “suicidabile” se non più adatto e funzionale al suo quotidiano ovetto, e libero solo di strillare quando gli tirano il collo, ci sarebbe:

SVEGLIA...che la guerra non è finita..ma è appena iniziata. 

C.F.

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