Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

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lunedì 16 gennaio 2017

Quo vadis Risorgimento Socialista?



                                                  


                                                 di Carlo Felici


La nuova formazione politica socialista finalmente è nata con il suo statuto, il suo simbolo e la sua piattaforma programmatica, come molti auspicavano da tempo, in piena autonomia, ma anche in perfetta sinergia con quelle forze che essa stessa dovrebbe contribuire a rianimare e a rinnovare.
Diciamocelo francamente, compagni, la cosa più difficile, oggi, è proclamare e fare cose di sinistra, senza però pronunciare quella parola invano, dato che per molti è diventata quasi una rabbiosa bestemmia.
E lo sappiamo bene perché, per anni di pietosa ipocrisia e di collateralismo che, tuttora, a non pochi suscitano solo rabbia e risentimento.
Ma non si può buttare “il bambino con l’acqua sporca”, non si può liquidare una intera storia ed una cultura ultrasecolare, così come una tradizione di valori intramontabili, solo perché lo sport preferito della “sinistra” (mettiamola sempre tra virgolette) è stato reiteratamente quello di chiedere ed ottenere un piattino di lenticchie da chi, invece, ha sempre preferito lo sport del “trasformismo”

E’ per questo che Risorgimento Socialista, giustamente, è nato con la caratteristica specifica di rifiutare ogni legame con il PD, che negli ultimi tempi ha assunto una fisionomia trasformista tale da fare invidia sia a De Pretis che a Giolitti e, se il riferimento dei Socialisti Italiani resta Matteotti, che pagò con la vita la sua strenua opposizione al neotrasformista Mussolini, vincitore elettorale solo con brogli, intimidazioni e trasformismo all’ennesima potenza, suffragato da una legge elettorale che lo favorisse e da un listone nazionale in cui riuscì a mimetizzarsi, oggi, noi, non possiamo che ribadire le stesse ragioni di intransigenza.
Diciamoci chiaramente un’altra cosa: non esiste una sorta di identità comune di tutti i provenienti dal PSI, e questo sia perché il PSI non c’è più, come forza politica protagonista, da almeno 20 anni, sia perché aveva già iniziato a diversificarsi al suo interno fortemente dagli anni di Craxi. Di Craxi oggi si può occupare la storia, riconoscendone meriti e demeriti “sine ira et studio”, senza accanimento ideologico e con adeguata documentazione, ma il perdurare nel definirsi socialisti craxiani è un assurdo impraticabile, tanto anacronistico quanto deleterio sul piano politico.


Il PSI, oggi, è un agglomerato di persone legate alle sorti di una segreteria che risulta tanto autoreferenziale quanto perfettamente telecomandata dal PD, del quale non ha mai messo in discussione una virgola, negli ultimi tempi, e forse dire questo è solo un garbato eufemismo.
Altro è invece fare della cultura e dei valori socialisti il propellente per un vasto movimento politico che abbia due obiettivi fondamentali.
1) Restituire alla politica di opposizione e di governo una sua cultura, una sua coerenza e una sua stabilità, dato che oggi esistono partiti (contenitori) di interessi o di disagio sociale, del tutto scollegati da valori autenticamente politici e da una cultura che possa dare loro uno spessore di credibilità e di coerenza, con il risultato che essi diventano facile preda o di demagoghi o di corrotti, tali da usare la politica per fini personali o di lobby.
2) Colmare il vuoto di credibilità che la stessa politica ha, in conseguenza del punto precedente, determinato nell’elettorato, il quale se crede ancora fermamente nella democrazia (e prova lampante ne è l’esito referendario costituzionale), non ha tuttavia più un referente di cui possa fidarsi per affidargli una seria rappresentatività che rimetta la questione della democrazia, della formazione e del lavoro al primo posto, rispetto alla navigazione a vista spesso imposta da una Unione Europea sempre più espressione di potentati e di lobbies, e sempre meno connessa con le aspirazioni ed i problemi quotidiani dei popoli europei.
Per far questo è del tutto evidente che non ci si può presentare come aggregato di partiti e tanto meno utilizzare lo strumento del trenino elettorale e io aggiungerei anche, la terminologia di “sinistra”, anche se per molti essa ancora è indispensabile per marcare certe differenze e un certo radicamento politico e culturale.
Risorgimento socialista nasce quindi con un nome che è tutto un programma: il socialismo per far risorgere un paese contribuendo anche al risorgimento dell’Europa.

L’Europa delle lobbies e dei potentati economici ha nell’Euro il suo principale strumento di dominio e spesso di oppressione, specialmente considerando che al suo interno il debito non è stato mai equamente ripartito, che per colmarlo si è preferito salvare le banche al posto delle categorie disagiate dei cittadini e che anzi, quest’ultime, sono state le prime ad essere sacrificate sull’altare del profitto, falcidiando servizi pubblici indispensabili, stipendi, pensioni, la scuola e soprattutto la stabilizzazione nel lavoro, rendendo la precarietà endemica ed i beni comuni indispensabili solo come merce da utilizzare per incrementare i guadagni.
Il Capitalismo dal volto umano non esiste, così come non può esistere un Regime comunista pianificato dal volto umano. Entrambi, la storia lo dimostra abbondantemente, hanno mortificato la natura umana, non solo nella sua libertà di espressione e di creatività, ma anche nella sua iniziativa libera e concorrenziale. Il primo con gli oligopoli e i monopoli, il secondo con una pianificazione sempre a vantaggio di nomenklature di potere.
Oggi le sfide economiche e sociali fondamentali sono quelle che affrontano in parallelo e con stretta connessione, le questioni ambientali e le questioni sociali.

La prospettiva del XXI secolo vede per la prima volta nella storia dell’umanità, la stessa sopravvivenza della specie umana sull’unico pianeta in cui può oggi esistere, essere messa a rischio, sia dalla perdurante devastazione ambientale, imputabile ad un modello economico che non è disposto a mettere in discussione le sue basi produttive e distributive, sia dall’incremento vertiginoso del potenziale bellico dei vari paesi ormai molto numerosi che posseggono armi di distruzione di massa, sia infine dal rischio che il fenomeno terroristico diventi endemico e, prima o poi faccia breccia in uno di questi paesi, innescando una reazione a catena inarrestabile. Questo, in particolare, anche alla luce di nuove tensioni internazionali tra USA e Russia.
Se i popoli credono ancora nella democrazia ma le strutture politiche tendono a rinnegarla, bisogna rimettere, su scala transnazionale, il problema della democrazia e della Costituzione che la garantisce in ogni Paese, al primo posto nella lotta politica di ogni movimento e di ogni partito a livello internazionale e globale.

Dall’Euro non si può uscire in ordine sparso né mediante la costruzione di un regime autoritario che, di fatto, abbattendo definitivamente la democrazia, non farebbe altro che, su scala nazionale, favorire i ceti più ricchi, in grado di capitalizzare la moneta forte con i loro investimenti e spendendo quella debole in condizioni di cambio favorevole, per aumentare i loro beni, mentre i ceti più poveri, costretti ad usare solo quella debole, vedrebbero il loro potere d’acquisto falcidiato in pochissimo tempo
Dall’Euro però si può uscire o adottando una moneta concorrenziale circolante nei paesi più penalizzati come ad esempio quelli dell’Area Meditarranea, oppure ricostruendo un sistema di cambi vincolati ad un “serpente monetario” che però, temo, finirebbe con il mordersi la coda perché, in esso, come già accadeva prima della moneta unica, la moneta forte potrebbe tornare ad imporsi su quelle deboli, con lo stesso risultato finale di far crescere il debito dei più poveri.
Noi, in particolare, avendo perso il 25% del potenziale produttivo industriale, negli ultimi 15 anni, non potremmo certo ritornare alla vecchia politica di stampare moneta, incrementando il debito (già oggi stratosferico) e contando poi su una crescita delle esportazioni, comunque soggette a pedaggi doganali, perché uscire dall’Euro significa automaticamente uscire dalla UE.
Ecco perché il movimento che deve rimettere la democrazia al primo posto non può avere il fiato corto e imbastardirsi sul nascere in questioni identitarie o ideologiche di piccola portata o di prospettiva dietrologica. Esso deve piuttosto vincolarsi a iniziative transnazionali e ad un coordinamento internazionale, come di recente ha proposto Varoufakis che spingono verso una nuova radicale riconfigurazione dell'Europa e dell'Euro, senza timore di uscire dall'eurozona.
Per questo, bisogna procedere in parallelo riaffermando la sovranità nazionale, costituzionale, e incalzando i potentati della UE sulla ricontrattazione delle regole capestro che tengono tuttora i popoli europei in una ferrea gabbia di ingiustizia sociale che tende ad irrigidirsi e a diventare xenofoba.

La questione dei migranti, infatti, non può che essere affrontata sia ribadendo le ragioni sovrane di un paese, sia considerando i contesti internazionali in cui i flussi migratori hanno origine.
Il problema non è l’immigrato in sé o la sua religione e cultura (ovvio che essi debbano rispettare quelle di coloro che li accolgono), la questione è l’immigrato come strumento di incremento della schiavitù salariale per lui e per coloro che vengono spinti verso di essa dalle stesse mafie e dagli stessi potentati, o dagli stessi partiti contenitori che lucrano sui flussi migratori.
La dignità del migrante va di pari passo con quella del lavoratore italiano, garantendo tutti con precise norme sul lavoro che non rendano la precarietà endemica e non incrementino forme di sfruttamento e di lavoro nero a vantaggio delle varie mafie che lo gestiscono.

La Chiesa, per opera di questo straordinario Pontefice che, non a caso, è sotto continuo attacco da parte dei poteri forti presenti anche nel Vaticano, si batte validamente per affrontare in maniera adeguata questo problema, così come per incrementare la giustizia sociale e la difesa dell’ambiente. La recente enciclica Laudato sì è un vero e proprio manifesto morale e civile, prima ancora che politico, per capire come, dove e quando affrontare queste sfide. E’ quindi innegabile che un movimento politico nascente che ha questa ambizione non può non fare i conti con le spinte più autenticamente innovative che provengono dall’ambito ecclesiale e in particolare dall’odierno pontificato.
E’ necessario un umanesimo senza antropocentrismo anche perché troppe volte i sogni prometeici di dominio sul mondo e sulla natura sono finiti in tragiche devastazioni per l’umanità e per la natura stessa, a partire dalla prima guerra mondiale, e i socialisti italiani possono tuttora vantarsi di averla aborrita sin dall’inizio.
E’ lo stesso Pontefice a dire nell’enciclica menzionata che “perché continui ad essere possibile occupazione, è indispensabile promuovere una economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale”, cioè una libera iniziativa che premi quel merito dell’innovazione che costituisce, nel mercato, vantaggio collettivo, perché porta il livello della concorrenza a prospettive di qualità superiore, senza basarsi sullo sfruttamento e senza essere soffocato dal monopolio.

Tutto ciò ci riporta verso l’interrogativo evangelico: Quo Vadis? Quanto Pietro usciva da Roma per sfuggire alla persecuzione, quando la delusione e lo sconforto stavano per prevalere sullo spirito di sacrificio e di testimonianza, egli ebbe il coraggio di tornare indietro, di fare una conversione a U, che è poi il senso stesso della parola “metanoia” con cui i primi cristiani definivano il cambiamento necessario per testimoniare la loro fede.
Poniamocela anche noi questa domanda: quo vadis? Dove vai? Cosa fai? Scappi? Torni indietro? E la risposta sia valida e collettiva, una risoluzione data più che da proclami, da un vero ed autentico cammino, da percorrere e da rinnovare insieme.

E’ dunque con questa domanda, che è allo stesso tempo un auspicio (mettendolo anche in guardia dalla costante replica “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei), che formuliamo i nostri migliori auspici a questo soggetto politico nascente, affinché i pochi diventino molti, affinché il granello di senapa diventi albero frondoso
Quo vadis, Risorgimento Socialista?



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