Garibaldi pioniere dell'Ecosocialismo

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Garibaldi, pioniere dell'Ecosocialismo (clickare sull'immagine)

martedì 21 novembre 2017

Una questione donne..una questione di classe (I racconti del partigiano G.)






                                                   di Giorgio Giannelli


Dopo quel 19 settembre 1944, giorno in cui liberammo da soli il Forte, i partigiani si accasermarono nell'albergo Parco di Piemonte, proprietà del signor Aldo Fracchia. Fu lì che si fece una grande cena a base di spaghetti. Mancava il vino e ci adattammo con una damigiana di Marsala trovato in cantina. I grandi cuochi furono Guglie' Raffaelli e Agostino Maggi. Una grande tavolata. Durò delle ore.
 Alla fine erano tutti ubriachi e si voleva cantare. Ma cosa? Si cominciò con Bandiera Rossa, poi qualcuno intonò Bandiera Nera, l'inno degli alpini della Julia. A un certo unto uno dei due disertori tedeschi, si chiamava Jean Petit, ed era alsaziano, prese il via con la Marsigliese. Nessuno sapeva le parole, ma si andò mugolando in tono corale. Qualcuno si mise a piangere, io per primo La rivoluzione francese l'avevamo nel cuore. Piero Pierini chiamò Loris Famigli e me: “Dato che siete gli unici a 'un esse briachi, mettetevi di guardia dei fascisti, prendete lo sten e queste sono le chiavi. Nessuno deve entrare nelle stanze, neppure voi che ve ne starete fuori seduti per terra”. Come i fascisti, domandammo? “Si – ripose li hanno presi in giornata. Nessuno torga loro un capello”.

  Loris prese in consegna gli uomini. Erano silenziosi e impauriti, qualcuno lo conoscevo, gente politicamente insignificante. Un paio di loro finirono a Coltano, il campo di concentramento vicino a Pisa, a fare compagnia a Ezra Pound, il grande poeta americano accusato di filo nazismo. Io salii al primo piano davanti alla stanza delle donne. Trovai una sedia, mi sedetti con la chiave in tasca. Appoggiato per terra ci misi lo sten. Dopo qualche minuto udii quelle donne che si lamentavano. Mi domandavo chi fossero mai le donne fasciste del Forte. Non me n'ero mai accorto. Sentii che recitavano il rosario. Non resistetti. Presi la chiave ed entrai.
 Non c'era la corrente elettrica e stavano al buio. Dalla finestra aperta entrava un filo di luce, qualcuna mi riconobbe ed io chiesi che ci stava a fare lì. Erano delle donne del popolo, qualcuna vendeva il pesce. Il loro marito e padre aveva addirittura spaccato una padella dalle castagne arrostite sulla testa degli squadristi che si erano presentati nel 1922 a fare gli squadristi contro i lavoratori del mare. Figuriamoci. A un certo punto scorsi, tutta rannicchiata, una mia compagna di scuola alle elementari. Mi avvicinai e mi sedetti per terra accanto a lei. “Mi hanno preso perché sono fidanzata con un soldatino tedesco studente in medicina”. Non ci potevo credere e cominciai a logorarmi. Le ore passavano troppo lentamente. La ragazza appoggio il capo su una mia spalla e si addormentò. Le altre continuavano a piangere. Mi sentivo bollire il sangue. Dovevo fare qualcosa, dovevo inventare una delle mie.
 L'albergo era in silenzio, non si sentiva anima viva. E io lì con quelle donne. La notte passò. Il mio turno di guardia finiva alle 9, ma alle 8 presi la mia decisione. Uscii da quell'inferno, scesi le scale e trovai i miei compagni che facevano colazione. E raccontai quello che avevo visto. Increduli anche loro. Ma dove le hanno prese quelle poveracce? “Stanno tutte a Casamicciola” (che era il quartiere più misero del Forte) e poi c'è una mia amici della quale rispondo io”. Cominciò una serie di moccoli e di "che si può fare?" Disse che io avevo pensato al marchingegno. E proposi di andare a prendere una principessa che aveva fatto l'interprete ad Aleramo Bàrberi quando dirigeva i lavori per l'organizzazione Todt. Detto fatto.
 Andarono a prelevare la nobildonna e la chiusero con le pescivendole. Successe quello che avevo prevista: le sorelle dell'ex interprete, dopo aver protestato a voce alta, corsero ad avvertire i comandanti partigiani, ciascuno rientrato a casa sua. Pochi minuti dopo vedemmo entrare dal portone il tenente Paolo Alberto Cavalli, figlio di un ricco agricoltore che abitava a Roma Imperiale, e Aurelio Tonini, anch'esso capo di una delle nostre formazioni ciascuno rientrato a casa sua. Pochi istanti dopo tutte quelle donne infilarono il cancello d'uscita dell'albergo. Libere tutte. Non correvano, volavano. Ecco cosa voleva dire, anche allora, la lotta di classe e la differenza sociale.

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