di Carlo Felici
In alcune
riviste e giornali italiani, oggi, è di gran voga agitare il
pericolo neofascista, primi tra tutti alcuni “liberal” molto
noti, con inchieste varie, in particolare sul mondo più o meno
torbido che fa da sfondo a quella che è oggi la cosiddetta galassia
neofascista.
Galassia
che, già di per sé, contraddice la natura stessa di un movimento
che possa essere autenticamente fascista, la cui identità ed azione,
almeno storicamente, è stata sempre unitaria e compatta, in particolare
nella sua struttura organizzativa che ha sempre e immancabilmente
ruotato intorno al suo Duce e fondatore: Benito Mussolini, il quale,
evidentemente, non è interpretabile in un modo o in un altro, ma è
semplicemente studiabile nella sua biografia e nel suo percorso
storico, esauritosi nel 1945.
Se il
Fascismo, in senso sincronico, fu e resta legato a Mussolini, esso,
in senso diacronico, non ebbe, nonostante la continuità della guida
che su di esso esercitò il suo Duce, la stessa fisionomia, anche
perché non fu mai legato ad una cultura politica in senso stretto né
ad una ideologia.
Le fasi in
cui si sviluppò, mutando prospettive ed aspetto, ma sempre con lo
stesso intento di conquistare e gestire il potere, fino al punto da
identificare lo Stato con se stesso, furono varie, ricordiamo, a
grandi linee le principali: il Sansepolcrismo, fase rivoluzionaria e
libertaria, utile soprattutto per carpire consensi nel biennio rosso,
squadrismo, da usare come arma nel perpetrarsi del bellicismo
violento ed omicida contro le opposizioni della sinistra di allora,
il regime, con fisionomia spiccatamente mussolinista, prima del 1924
con una parvenza di facciata democratica, e dall'assassinio di
Matteotti, come sfacciata dittatura, e infine l'epilogo tragico e
farsesco repubblichino, con un tentativo fuori tempo massimo di
tornare agli assunti originari, senza seguito e con una identità
sottomessa all'occupante tedesco.
In tutte
queste fasi, il Fascismo fu tenuto unito e in piedi solo ed
esclusivamente dal suo Duce: Benito Mussolini.
Tutto ciò
che è accaduto dopo la sua morte, in riferimento al Fascismo o ai
suoi simboli, non ha mai più corrisposto alla sua natura che era
appunto quella di realizzare una corrispondenza assoluta di identità,
tra Stato, popolo e Fascismo stesso.
Gran parte
del popolo italiano si adattò al Fascismo, finendo per considerarlo
un elemento stabilizzante, la classe politica liberale lo sostenne
apertamente, perché lo riteneva un suo strumento per eliminare
pericoli più gravi come il Bolscevismo, lo stesso Mussolini contava,
durante il 20 anni del suo regime, più sulla sua “maggioranza
silenziosa” di “afascisti” che sui suoi camerati militanti,
sempre pronti a rinfacciargli una rivoluzione mancata con l'assenso
del Re e con gli accordi con il Vaticano.
E fu proprio
l'avere “mancato la rivoluzione” riducendola ad un orpello
retorico, che finì per portare il Fascismo al suo suicidio, il 25
luglio del 1943.
I fenomeni
neofascisti del dopoguerra sono stati sempre dei fenomeni risibili, e
persino contraddittori, rispetto a questa “rivoluzione mancata”,
nessuno di essi, infatti, concretamente ha mai cercato di minacciare
lo Stato, fino a cercare di conquistare il potere per trasformarne
radicalmente la fisionomia.
Anche gli episodi apparentemente più eversivi, come le bombe o i tentati
golpe, vanno infatti inquadrati in una strategia strumentale di un
neofascismo non più autonomo, ma eterodiretto per scopi
geostrategici o stabilizzanti.
Tutta la
storia del neofascismo del dopoguerra resta infatti indissolubile
rispetto all'atlantismo anticomunista e alla stabilizzazione di un
"regime democratico", cioè di un ossimoro politico, in cui la
democrazia dell'alternanza era negata in partenza e con cui si poteva persino fare anche quello che il Fascismo non fece mai, come mandare la cavalleria in piazza a spianare il dissenso.
Dalla caduta
del muro di Berlino e dalla fine del potere bolscevico, la cosiddetta
galassia neofascista si è frantumata ancora di più, con una sorta
di polverizzazione politica, il cui unico collante è la
manifestazione di gesti esteriori, di azioni, di proclami che
riprendono la retorica del Fascismo storico, senza potersi
identificare con esso per motivi giudiziari. E soprattutto con una
sorta di implosione dovuta all'esasperarsi della competitività
interna ai vari gruppi neofascisti, ognuno legato più al suo
“ducetto”, che ad una precisa strategia politica unitaria. Niente
di nuovo rispetto ad un panorama politico italiano in cui i vari capi
e capetti di partito hanno assomigliato sempre più a piccoli
capitani di ventura piuttosto che a veri e propri Cesari.
Oggi la
globalizzazione e la crisi economica sembrano amplificare l'azione e
la risonanza di questi gruppi, anche se in realtà la loro incidenza
nell'opinione pubblica, nonostante il loro agitarsi mediatico e
coreografico, resta alquanto limitata.
Il malessere
profondo su cui essi fanno leva però esiste e tende ad espandersi,
anche perché chi in questo periodo avrebbe dovuto interpretarlo e
guidarlo con precise strategie politiche di alternativa ai modelli
dominanti e di lotta alle disuguaglianze e all'impoverimento, è
stato del tutto latitante. La sinistra si è adattata a svolgere un
ruolo collateralista, consociativo e del tutto subalterno alle
logiche imposte dal capitale speculativo in ambito continentale
europeo. Tanto che oggi solo alcuni suoi gruppi ed esponenti, ancora
alquanto minoritari, sono arrivati solo da poco a capire che se non
si aggredisce il male endemicamente presente all'origine nella stessa
struttura e nei trattati della UE, il regime della dittatura
finanziaria tenderà sempre di più a svuotare non solo ogni forma di
reattività politica nazionale, ma soprattutto le regole
costituzionali su cui ciascuno Stato in Europa si fonda.
Prova ne é
il recente referendum costituzionale del 4 dicembre che ha visto uno
straordinario paradosso politico, anche se potenziato dalla protesta
verso un Presidente del Consiglio sempre più impopolare, ed è il
fatto che un partito autodefinitosi democratico, tendeva a ridurre la
sovranità popolare azzerando, di fatto, quella di un ramo del
parlamento, chiedendo il Sì alla sua controriforma, mentre la
cosiddetta destra e anche gruppi di estrema destra ed estrema
sinistra si sono schierati apertamente per il No, e per la tutela
della democrazia parlamentare e costituzionale legata alla sovranità
popolare. Estremisti che difendono la democrazia? Suona un po'
strano..ma è così in un mondo in cui ormai le parole corrispondono
sempre meno al significato che hanno avuto nel corso del tempo.
Oggi manca
un fronte ampio transeuropeo di contestazione di un assetto
economico, politico e sociale sempre più antidemocratico che tende ad
imporre le regole del libero mercato su quelle della libera
democrazia, e in questa mancanza di prospettive unitarie, assistiamo
a due fenomeni sostanziali. Il primo è il compattarsi di forze
politiche trasversali che, avendo perso singolarmente il consenso,
tendono ad unirsi nella gestione comune del potere, superando così
grossolanamente il concetto di alternanza politica e anche quello di
destra e di sinistra, su cui la democrazia dal dopoguerra in poi si è
sempre fondata. Il secondo è l'incremento di una forma di disagio e
di protesta che non ha ancora una fisionomia unitaria e che resta
tuttora confinata nelle azioni plateali, ma si va configurando nel
populismo, nel sovranismo monetario senza che esso sia suffragato da
un autentico sovranismo politico, in buona sostanza in movimenti ed
azioni tali da non incidere a fondo nella trasformazione di un
sistema-paese, ma anzi, nella loro estemporaneità e frammentarietà
o demagogia, persino tali da rafforzare l'assetto esistente.
E dato che
l'apparato che da questo assetto trae beneficio e continuità di
azione lo sa molto bene, evidentemente, esso tende ad esasperare le
provocazioni e l'amplificazione di tutti quei fenomeni, per altro
privi di tessuto connettivo unitario, che ormai spaziano da
destra a sinistra anarchicamente e trasversalmente, in maniera del
tutto folle ed atomistica (c'è persino un movimento che si chiama
“je so pazzo”), per agitare lo spauracchio del pericolo
antidemocratico come una volta si agitava quello del pericolo
comunista.
Penoso
constatare che almeno una volta il pericolo comunista un progetto di
alternativa politica ce l'aveva, mentre questi gruppuscoli della
galassia anti-sistema non hanno nemmeno uno straccio di programma
politico alternativo, quindi, concretamente, se non ci fossero i
socialnetwork, che ormai affollano le nostre vite più di quanto lo
siano le piazze, ad amplificarli e a farli sembrare di più di ciò
che sono, sarebbero ancora più sommersi ed invisibili dei famigerati sommergibili della canzone del tempo che fu.
La realtà è
che il vero antisistema rispetto alla democrazia a cui le generazioni
dei nati fino agli anni 70 erano abituate, è quello della corruttela
che si struttura come sistema-paese, e cioè sono le criminalità
organizzate come governo, e non solo come controllo del territorio,
il cui spazio di azione e di gestione, con l'assetto attuale della
UE, è ormai continentale, a tal punto da incrementarne e potenziarne
l'azione soprattutto economica e finanziaria, senza che i confini
nazionali possano in alcun modo rallentarla o fermarla.
Nè l'azione
di repressione nei territori va al di là di azioni sporadiche e
sostanzialmente dimostrative, mentre quella reale cade sempre più
pesantemente su quelle categorie di persone che sono sempre più
svantaggiate da tale assetto.
Come può
essere credibile un Ministro dell'Interno che tuona contro la
criminalità organizzata e contro i trafficanti di emigranti, mentre
l'azione di repressione e di pestaggio sistematico più frequente
delle sue forze di polizia è rivolta contro operai che lottano per
il loro posto di lavoro, insegnanti che protestano contro la
precarietà e gli stipendi da fame, e gli studenti che non vogliono
accettare il sistema dell'alternanza studio-schiavitù legalizzata?
Forse sarà
credibile solo da coloro che per essere mantenuti efficienti e fedeli
saranno pagati meglio di altri che non servono a puntellare questo
sistema. Certo, è meglio rinnovare e incrementare gli stipendi dei
dirigenti-sceriffi e dei poliziotti, piuttosto che quelli degli
operai, degli insegnanti o di altre categorie sottopagate destinate
alla sottomissione sociale.
E allora,
tornado alla questione “Fascismo”, ci chiediamo come un
significante possa corrispondere ad un significato, come questa
parola adoperata per significare tutto e il contrario di tutto possa
ancor oggi corrispondere a quello che è stata concretamente nel
passato.
Mussolini
marcò la sua distanza dal Socialismo assumendo la fisionomia del
difensore di un regime che ambiva ad essere liberalmente corporativo,
in cui la lotta di classe fosse abolita non tanto in nome della
concordia delle classi (come predicava anche la Rerum Novarum) ma in
nome degli interessi delle classi conciliati dallo Stato fascista, il
cui avvento fu determinato però da quelle classi dominanti a cui il
fascismo dovette eterna riconoscenza.
Oggi chi e
che cosa possiamo intendere come fascista? Forse chi colleziona
cimeli del ventennio? Chi compie gesti plateali? Chi indossa ancora
camicie nere? Chi usa la violenza come strumento di lotta politica?
Ecco forse sì, questa ultima definizione è la più appropriata,
anche se nella storia ad usare la violenza come strumento di lotta
politica furono in tanti, a partire da Cromwell e Robespierre..
E non
risulta per caso violenza come strumento di lotta politica
manganellare operai, studenti ed insegnanti? Manomettere la
Costituzione, non è una forma di violenza istituzionalizzata?
Reiterare ossessivamente leggi elettorali incostituzionali, non è
perpetrare una violenza contro l'essenza stessa della democrazia e
della sovranità popolare? E infine spacciare con tutti i mass media
per lotta efficace alla disoccupazione solo l'incremento del
precariato di massa non è forse violenza anche contro il mero buon
senso?
Sicuramente
atti violenti messi in atto da gruppi autodefinentisi neofascisti o
neonazisti fanno parte di questa violenza, ma quando essi occupano le
prime pagine dei giornali, oppure portano i giornali ad occuparsi
solo di loro e mai di quella violenza che diventa strutturale di un
sistema di governo, allora siamo di fronte ad una precisa strategia
di distrazione di massa. E siamo persino tentati di immaginare una
certa contiguità in funzione reciprocamente autopromozionale.
Cosa ha fatto un movimento di estrema destra, in definitiva, con i
suoi fumogeni se non fare pubblicità ad un giornale di già larga
tiratura?
Cosa sta
facendo in fondo quel giornale se non rianimare un movimento politico
che rischia di essere surclassato da certi suoi concorrenti forse
meglio strutturati nei territori?
Matteotti
scrisse prima di morire un libro memorabile la cui introduzione si
conclude così: “Alle stravaganze della dominazione fascista una
cosa sola è certamente dovuta: che i profitti della speculazione e
del capitalismo sono aumentati di tanto, di quanto sono diminuiti i
compensi e le più piccole risorse della classe lavoratrice, e dei
ceti intermedi, che hanno perduta insieme ogni libertà ed ogni
dignità di cittadini”
Così nacque il Fascismo anche se poi tentò di correggersi per incrementare il consenso, mantenendo salari bassi in cambio di servizi sociali.
Ecco, nella
difficoltà ed ambiguità di dover collegare il significante della
parola “fascista” al suo “significato", suggeriamo di tenere
bene a mente queste parole, anche verso chi non solo non ha alcuna voglia di correggersi, ma rende persino i suoi errori consustanziali alla necessità della sua cosiddetta democrazia.
Sarà così
molto facile smascherare chi si nasconde dietro certi orpelli e
altrettanto semplice sbugiardare chi li agita senza far nulla per
contrastare i veri significati essenziali che tale parola ha sempre
evocato.
Pasolini aveva visto giusto
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